Mi è capitato in passato di accennare qualcosa a proposito di questo antico borgo, di cui si sono quasi perse le tracce, ma in questo articolo vorrei approfondire quanto è noto dell’unico edificio che ne rimane, la chiesetta di Sant’Anna (anche se, purtroppo, versa in condizioni quasi disperate).
Premesso che il nome proviene evidentemente da un bosco di castagni, osserviamo che alla fine del diciannovesimo secolo il borgo compariva ancora nei registri della parrocchia di Santa Maria di Calvairate, ma il nome era stato storpiato in Castenedo, divenendo così omonimo di una frazione presso Voghera.
La località apparteneva già’ nel dodicesimo secolo alle monache di Santa Margherita, il cui monastero femminile sorgeva nel centro della città nei presi dell’omonima via tuttora esistente; tutto ciò è testimoniato da numerosi documenti relativi ad acquisti, permute e rivendicazioni di diritti del monastero a Castagnedo.
Verso la fine del tredicesimo secolo la località ospitava anche una comunità di monache Umiliate, dedite alla lavorazione della lana, caratteristica dall’intero ordine; esse vi eressero una chiesina dedicata a Santa Maria, come loro tradizione.
Le monache però ebbero rapporti piuttosto tesi con le monache di Santa Margherita, non si sa se per ragioni d’acque (all’epoca, ma anche oggi, risorsa indispensabile), per confini della proprietà o per diritti di accesso. Fatto sta che nella seconda metà del quattordicesimo secolo, e più precisamente nel 1385, esse preferirono aggregarsi al monastero di Santa Maria della Vittoria.
Poco dopo però, cessati i contrasti con le monache di Santa Margherita, le Umiliate tentarono di far marcia indietro dicendo che lo scorporo avvenuto nel 1385 era da ritenersi illegale in quanto il vicario generale dell’Arcivescovo aveva decretato l’aggregazione alla Vittoria quando era ormai decaduto dalla carica.
Tutto venne risolto poco tempo dopo, quando il Vescovo di Piacenza, delegato dal Papa Urbano VI, sanzionò la fusione dei due monasteri, acquietando così di fatto le acque, in quanto a quel punto tutto il podere di Castagnedo diventò proprietà del monastero di Santa Margherita, come risulta da un documento steso per ordine di Margherita Visconti, figlia di Bernabò e badessa di Santa Margherita.

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Tornato il fondo alle precedenti monache, esso rimase loro proprietà fino alla soppressione dei monasteri, ordinata dall’imperatore d’Austria Giuseppe II verso la fine del Settecento. Nel frattempo la chiesetta di Santa Maria aveva cambiato il nome in Sant’Anna di Castagnedo.
Unico residuo della cascina, la chiesetta fu sottoposta a vincolo in quanto conteneva affreschi di notevole pregio: le Tre Marie, dipinte sopra un altro affresco, ed altri, tra cui una immagine miracolosa di San Carlo, che il 24 giugno del 1601 avrebbe risanato una donna paralitica da nove anni. Due altri affreschi quattrocenteschi vennero poi staccati ma danneggiati da vandali, e sono ora di proprietà di un privato. Il vincolo è stato tolto, ma per fortuna la chiesetta, pur ridotta a un rudere, è stata risparmiata.
Nella memoria di alcuni milanesi della zona è ancora vivo il ricordo di quando gli abitanti della cascina Boffalora, essendo lontani dalla parrocchia di Calvairate, nei giorni festivi andavano alla chiesetta per partecipare alla Santa Messa. Ed erano i parrocchiani di allora che, con carro e cavallo, andavano a prendere il sacerdote della chiesa di Santa Maria del Suffragio, lo portavano alla chiesina, poi pranzavano tutti insieme ed infine lo riportavano in sede.
Concludo questo breve excursus con una poesia scritta dalla nota artista Graziella Granata, che ringrazio per avermela fatta avere tramite il comune amico Velio Piccioni.

Riccardo Tammaro

 L’indifferenza

Ciao, me voeuri presentà:
de mi quasi nissun sa!
“Son Anna al Castagnee”
E chi disaran: “Ma chi l’è?”
Sont la gesètta sgangherada
che a l’INPS son poggiada.
Gh’hoo on passaa, ona stòria
che se perd in la memoria.
Mi vosi, ma nissun par sentì
anca se tanta gent passa de chi!
Omm, dònn, malaa e vègg:
l’è come on “peregrinagg”,
per la pension de “sopravivenza”,
ma per mi ghè domà indifferenza!
Nissun se dègna a fa ‘na sòsta
e pensà che mi son disposta
a dag anca ona man
sìen giovin o anzian…
M’han dii che “Gesa di Lusèrt”
nòtt e dì gh’è semper avèrt:
la mia porta però hann cementà
nissun se “sògna” de vegnì a pregà!
Son mi che preghi: “fee on quai còss
se no i mè quadrèi finissen in del fòss…”
Fòss? Quèst l’è bèll:
gh’è pù nanca quèll!