Tra le curiosità proposte nella mostra dal titolo “C’era una volta la cartolina o forse ancora c’è” visitabile lo scorso novembre al Parco Esposizioni di Novegro in occasione della fiera del brocantage, lo stand di Maurizio Bazzi, da decenni collezionista di etichette di vini, ha attirato subito la nostra attenzione per la particolarità della sua raccolta, decisamente inconsueta. È così che abbiamo deciso di farci raccontare la sua storia.

«Era un’estate di molti anni fa, il vino era fresco – un bianco – e la condensa prodotta sulla bottiglia aveva quasi del tutto staccato l’etichetta» racconta Bazzi che, attirato dal piacevole soggetto rappresentato e desideroso di portare via con sé un ricordo di quel pranzo, rimuove il prezioso cartiglio e lo porta via con sé. «L’ho tolto perché mi piaceva e da lì non ho più smesso». Appassionato di vini nonché socio dell’Onav-l’Organizzazione Nazionale degli Assaggiatori di Vino, Maurizio è assiduo frequentatore di cantine e l’occasione è ghiotta per arricchire la sua collezione. Il vero salto di qualità arriva 4-5 anni fa quando, dopo diverse ricerche, si imbatte nell’Aicev, l’Associazione Italiana Collezionisti Etichette Vini, un’organizzazione senza scopo di lucro nata nel 1990 che riunisce una sessantina di amatori da tutta Italia e non solo. «A quel punto mi iscrivo e, come consuetudine, al mio ingresso i soci mi spediscono parecchie buste piene di etichette: nel giro di 2-3 settimane mi ritrovo gli scaffali pieni. Oggi ne ho oltre 20.000 mila, ma c’è chi supera le 200.000». Non stentiamo a credergli quando ci mostra alcuni dei raccoglitori che ha portato con sé: ogni pagina ne contiene circa 4 per facciata, ognuna corredata da una breve spiegazione che contestualizza la provenienza dell’etichetta, la sua storia e qualche curiosità. C’è per esempio quella disegnata da Dario Fo per il vino denominato “Mito” della cantina Fattoria Paradiso di Bertinoro (FC) o quella realizzata dall’artista Enrico Baj per il Vino della Pace del 2002 della Cantina Produttori Cormons, in Friuli. «Non si tratta semplicemente di un’icona commerciale, ma è prima di tutto la carta d’identità di quel vino» e – aggiungiamo noi – una testimonianza culturale di una precisa epoca, come dimostra la scelta dei soggetti. Si va dai paesaggi esotici alle opere artistiche, dai personaggi pittoreschi o faunistici a quelli religiosi con preti, frati, suore e persino diavoli. Insomma un mare magnum di temi in base ai quali si può poi procedere con la catalogazione delle raccolte.


Non esiste un commercio di etichette di vini, ma esiste un florido scambio, e due importanti musei italiani che ne custodiscono la storia: a Barolo, in Piemonte, e a Cupramontana, nelle Marche.
Una storia che affonda le sue radici agli inizi del 1700, quando il monaco benedettino Dom Perignon ha l’idea di contrassegnare le bottiglie di Champagne che produce con delle piccole pergamene arrotolate dove indica l’annata, la provenienza e la qualità. Con l’introduzione nel 1796 della litografia e poi della calcografia si perfezionano le etichette, che a partire dal 1950 si arricchiscono di elementi decorativi e, nella controetichetta, di una serie di informazioni aggiuntive fino ad aderire alle più recenti direttive comunitarie su provenienza, temperatura e, in alcuni casi, persino l’indicazione del bicchiere più confacente al vino.
Staccarle non è poi così difficile, ci spiega. Basta riempire la bottiglia di acqua bollente o, in alternativa, metterla nel forno per qualche minuto e voilà, avrete la vostra etichetta. Spumanti, champagne, vini della casa, ammazzacaffè: sotto le Feste la scelta delle bevande certo non manca per mettersi alla prova. E chissà che qualcuno di noi non scopra una nuova insospettabile passione.
Per ulteriori informazioni www.aicevitalia.it