Si è conclusa il 5 e 6 aprile la vicenda del platano di piazzale Buozzi accanto a Giannasi, che tanta eco aveva avuto anche sulla stampa cittadina. Infatti Doraldo Giannasi aveva esposto su un cartellone appoggiato al platano una lettera in cui dava l’addio all’albero “Sei stato per decenni e decenni il mio splendido, discreto e composto dirimpettaio. Adesso la tua circonferenza ha raggiunto la dimensione di 5,60 metri e la mia età di 78 anni. Entrambi apparteniamo a mondi dove si nasce, si vive e si muore. Non saremo certo noi a cambiare questa regola. Mi mancherai…”. Un addio dato con la consapevolezza della pericolosità ormai della sua presenza, sia per  il chiosco e soprattutto per i clienti e le persone che stazionano o passano lì accanto; come ci ha riferito personalmente negli ultimi mesi si erano staccati dei grossi pezzi di ramo che solo per caso non hanno colpito nessuno, ma in un caso sfiorato.
L’intervento previsto per il 13 marzo era stato rinviato all’ultimo momento dall’assessora al Verde del Comune di Milano, Elena Grandi, per fare un’ulteriore verifica, nonostante  l’ultima analisi di stabilità condotta in data 9 febbraio 2023, a dieci mesi di distanza da una precedente del 2022, fosse chiara nelle sue conclusioni.


Per conoscenza, e per dimostrare che dietro questa scelta anche dolorosa ma necessaria ci sono stati esami accurati e seri, riportiamo sinteticamente i risultati dell’analisi del febbraio scorso, confermati dall’esito dell’ultimo esame di marzo.
L’analisi ha previsto nel complesso: una valutazione visiva dell’albero condotta secondo protocollo V.T.A. Visual Trees Assessment, una prova strumentale con trazione controllata condotta secondo protocollo S.I.M. Static Integrated Methods, una integrazione strumentale con tomografia sonica e infine una integrazione strumentale con dendrodensimetro tipo resistograph.
Non entriamo nel dettaglio tecnico e nei risultati dei singoli test, ma riportiamo alcune problematiche che hanno portato il Dottor agronomo incaricato a prescrivere la rimozione del platano.
Innanzitutto il platano è radicato in una aiuola di piccole dimensioni sottodimensionata rispetto alla dimensione considerevole dell’albero; è chiaramente visibile la vastissima ferita aperta che si estende dalla base fino a circa 1 metro e mezzo di altezza e sul lato opposto una vastissima necrosi corticale fino a circa 6 metri di altezza. Vi è poi all’altezza di circa 7 metri e mezzo, una grossa apertura con cavità retrostante di forma tendenzialmente ellittica per una profondità di quasi un metro che lascia una porzione di legno sano limitata. Da questa cavità sono poi entrati patogeni fungini cariogeni.


Altre cavità sono presenti, di minori dimensioni, anche sulla chioma, col rischio di uno schianto a terra di branche.
Le quattro prove di carico effettuate in direzioni diverse, hanno dato come risultato, in estrema sintesi, il fatto che i valori misurati “non risultano totalmente sufficienti secondo gli standard minimi e la pianta non può dirsi totalmente al di sopra dei limiti di sicurezza dal pericolo di ribaltamento, considerando una velocità del vento di 115.2 Km/h.”
Un’altra indagine è stata eseguita con Tomografia sonica, per valutare la propensione alla frattura delle fibre di legno valutando  l’estensione interna delle anomalie visibili dalla prima indagine preliminare. Le quattro tomografie eseguite hanno rilevato una vastissima compromissione nella porzione centrale del colletto e del tronco soprattutto.
Nella relazione si esamina anche la possibilità del mantenimento del platano che “implicherebbe interventi di contenimento a tutta cima significativi con l’esecuzione di tagli oltre i 15-20 cm di diametro  e quindi soggetti a infezioni di patogeni fungini agenti di carie con tutte le conseguenze del caso. Oltre a problematiche di carattere strutturale subentrerebbe anche la problematica di uno stress perpetuo a cui l’albero dovrà essere sottoposto a causa degli interventi di contenimento periodici. Peraltro, la potatura di contenimento non avrebbe  in alcun modo un effetto “risolutivo” delle anomalie complessive rilevate, dovrebbe essere perpetuata nel tempo e dovrebbe essere molto incisiva deturpando sicuramente la naturale architettura della chioma e andando a ripercuotersi negativamente sulla capacità di reazione dell’apparato radicale, che risulterebbe indebolito man mano.