«Siamo scappate da Kiev mentre le sirene suonavano, ma arrivare qui in Casa Monluè è stata una ‘benedizione’». Sono le parole di due donne, madre e figlia, fuggite dall’Ucraina che hanno trovato rifugio nell’imponente edificio color giallo ocra dell’inizio del ‘900, divenuto dal gennaio 2022 un Centro di Accoglienza Straordinaria – CAS – in convenzione con la Prefettura di Milano, in cui vengono ospitate famiglie di profughi e richiedenti asilo politico. La testimonianza delle signore prosegue ricordando le persone che qui hanno dato loro cure e aiuto, che le hanno accettate e accolte con comprensione: si riferiscono agli operatori di Farsi Prossimo Onlus, la Cooperativa Sociale che gestisce Casa Monluè.
La Casa iniziò la sua storia nel 2010, anno in cui l’antico edificio fu affidato dal Comune di Milano, proprietario della struttura, a Consorzio Farsi Prossimo in comodato d’uso gratuito per 20 anni con il vincolo di destinarlo a progetti di ricettività sociale per soggetti in difficoltà privi di alloggio. Grazie a una serie di finanziamenti e al supporto di Caritas Ambrosiana, venne ristrutturato e messo a disposizione degli ospiti con l’attuale nome.
Ora Casa Monluè ha 53 stanze da 1 a 4 persone con 90 posti letto, una cucina professionale, refettorio, sala medica, tre uffici, biblioteca, sala riunioni, salone tv, tre magazzini. Riorganizzato anche l’ampio spazio esterno con orto, campo da calcetto, parco ricco di alberi maestosi. «All’inizio – racconta Christian Boniardi, coordinatore di Casa Monluè – era un progetto emergenziale, poi ci sono stati tanti progetti con il Comune di Milano e per almeno sette anni la casa è stata uno dei più importanti centri di accoglienza collettivi di Milano per richiedenti asilo e rifugiati maschi e dipendeva dal SAI – Sistema di Accoglienza e Integrazione». Così fino al 2021.

Christian Boniardi con Lidia Cimino

Nel gennaio 2022, con la trasformazione in CAS, Casa Monluè diventò un centro di prima accoglienza non più per uomini adulti soli, ma per nuclei familiari, donne, bambini, tutti inviati dalla Prefettura. Per un paio di mesi vennero accolte famiglie provenienti dall’Africa, poi esplose l’emergenza Ucraina. Ora il centro per l’85% è vissuto da famiglie ucraine. Nei primi mesi del 2022 sono passate circa 400 persone. «Arrivavano – spiega Boniardi – stavano da noi un po’ di tempo e poi andavano in altri Stati d’Europa, o in altre città italiane oppure le accompagnavamo nella rete di accoglienza diffusa, quindi negli appartamenti gestiti da Farsi Prossimo o messi a disposizione dalle parrocchie milanesi su iniziativa di Caritas Ambrosiana».
A settembre tante famiglie hanno deciso di fermarsi in attesa di sviluppi. Nel sistema della Prefettura, ogni individuo ha diritto di essere accolto fino alla definizione del suo status giuridico. La maggior parte degli ospiti non ha fatto domanda di asilo politico, ma ha beneficiato di una protezione temporanea.
A Casa Monluè l’équipe multidisciplinare è composta da un coordinatore, due assistenti sociali, due educatori, due mediatrici Italiano-Ucraino, un medico, una psicologa, un’infermiera, una docente di italiano, un avvocato e, ancora, 8 custodi e 14 volontari. Non mancano situazioni difficili da affrontare come i traumi subiti dopo i drammi vissuti, quindi nella vasta rete esterna ci sono anche i servizi specifici che si occupano di queste forme di disagio.
Tra gli ospiti, insieme a madri, padri, bambini e alcuni anziani, ci sono adolescenti, presenza rara in un centro collettivo, perché normalmente gli adolescenti che migrano sono minori non accompagnati. Bimbi e ragazzi vanno a scuola; tanti adulti, molti dei quali diplomati o laureati, lavorano nelle fabbriche o come badanti.
Tante le attività: corsi di Italiano, orientamento alla formazione professionale e all’inserimento lavorativo, percorsi artistici e di educazione civica, la cura dell’orto, spazi per i più piccoli, iniziative per raccontare Milano, le sue bellezze, i musei, le visite guidate. «Da sei mesi – dice Boniardi – accogliamo queste 90 persone con le quali, da un lavoro di risposta immediata ai bisogni primari, siamo passati a un impegno più volto al recupero dell’autonomia, accompagnamento sociale, condivisione di strumenti linguistici, di opportunità culturali e formative, quindi più a lunga scadenza, un accompagnamento che è un po’ la summa del nostro lavoro, cioè accogliere le persone che sono in una situazione di disorientamento e aiutarle a rimettersi in gioco in un contesto nuovo».

L’edificio, in via Monluè 65, è nato negli anni ‘20 come scuola elementare, poi dal 1952 al 1964 è diventato sezione staccata della Scuola speciale Treves De Santis per bambini e ragazzi affetti da gravi forme di epilessia, negli anni ’80 succursale di un Istituto professionale, dal 1999 per dieci anni è stato trasformato dall’associazione Centesimus Annus in un pensionato sociale e centro per l’emergenza freddo.