Concretezza in progetti e attività
La complessità dei casi di abusi e violenze contro le donne si evidenzia constatando la frequenza purtroppo sempre elevata dei fatti resi alla cronaca e delle richieste di aiuto presentate. Sostenere le donne che subiscono tali aggressioni è un impegno importante e delicato per tutti gli aspetti collegati e CADMI vi si dedica sin dalla sua costituzione nel 1986.
Per conoscerne principi e scopi, intervistiamo Cristina Carelli, Coordinatrice Generale CADMI e Lucia De Cicco, Operatrice Accoglienza.
Ascolto e comprensione sono elementi basici che instaurate con le donne che vi contattano. Come sviluppate le relazioni personali?
«La nostra metodologia dell’accoglienza si fonda sulla relazione fra donne, sull’ascolto, sull’assenza di giudizio, sulla fiducia nella forza e nelle risorse che le donne richiamano quando scelgono di riportare la propria vita in un percorso di autonomia e consapevolezza che restituisca loro la libertà annientata dalla violenza. La relazione che si crea è per noi imprescindibile ed è la cifra che segna e accompagna le donne che accogliamo».
Infondere coraggio e proporre soluzioni specifiche ad abusi e violenze sono fattori importanti di supporto. Quali iniziative avete sviluppato?
«Le donne il coraggio lo trovano già quando fanno la scelta di rivolgersi a un centro antiviolenza. Noi stiamo accanto a loro, sosteniamo le loro scelte, siamo una risorsa che mette a disposizione del desiderio, delle necessità e della progettualità delle donne il supporto, legale, psicologico, formativo, lavorativo, indispensabile a fornire loro tutela e sostegno, a valutare insieme il rischio e il pericolo cui ciascuna di loro è esposta, a fornire soluzioni abitative per un percorso di uscita dalla violenza in sicurezza nelle nostre case rifugio con l’intervento delle istituzioni e associazioni della rete antiviolenza del territorio».
La violenza di cui ci occupiamo si realizza in un contesto di “vicinanza”
Le aggressioni fisiche e psicologiche contro le donne si verificano in vari ambiti, familiare, lavorativo, sessuale, economico. Quante donne e quanti casi avete seguito?
«Abbiamo accolto circa 35.000 donne in quasi 36 anni di attività. Si tratta di donne che nella stragrande maggioranza dei casi hanno vissuto una violenza nel contesto della relazione intima o prossima: i maltrattanti sono partner, mariti, padri, familiari, amici, colleghi, datori di lavoro. Le donne vivono un paradosso che di per sé è una forma di violenza: da quelle relazioni si aspettano rispetto, riconoscimento, progettualità condivisa, sicurezza e invece vi ritrovano l’esatto contrario.
Negli ultimi anni sono in aumento le donne migranti e le giovani, così come le donne anziane. Questo è un dato che leggiamo positivamente: le donne escono prima dalla violenza; abbiamo raggiunto anche le comunità delle donne migranti; abbiamo agito sulla cultura favorendo un percorso di rottura dei vincoli imposti e/o autoimposti, se pensiamo alle donne anziane».
A novembre 2021 avete organizzato un convegno sull’importanza delle parole nel contrasto alla violenza e una campagna di comunicazione. Quale il contenuto del messaggio scelto?
«Pensiamo che chi comunica abbia una grande responsabilità, tenuto conto della moltitudine dei mezzi di comunicazione e della pervasività di alcuni di essi. Mai come per il tema della violenza maschile sulle donne si deve pretendere che chi comunica si formi e acquisisca la consapevolezza necessaria a tradurre in parole e immagini, una presa di distanza dai giudizi e dagli stereotipi che ancora oggi stigmatizzano le donne come corresponsabili della violenza che vivono, rivittimizzandole e riducendole a categoria delle donne deboli, vittime per costituzione, predisposte a subire violenza perché emarginate (le povere, le migranti, le poco acculturate, le instabili psichicamente). In questo modo si conferma e si alimenta il pensiero comune che le vuole distanti da noi, quando invece i dati confermano che la violenza è trasversale. Le stesse categorie si riproducono anche nella descrizione del maltrattante, per il quale si cercano regolarmente giustificazioni: era geloso, era distrutto per la separazione, era un bravo padre.
Abbiamo bisogno di comunicatori che non normalizzino la violenza. Abbiamo bisogno di sdoganare alcune forme di violenza ancora invisibili: la violenza psicologica, la violenza economica, le molestie, la violenza sessuale all’interno della coppia».
Quali iniziative per il 2022?
«Abbiamo lanciato il progetto Work and Freedom, Lavoro e Libertà, finanziato da Kering Foundation, che prevede il collocamento nel mondo del lavoro delle donne e ci vedrà coinvolte per i prossimi 3 anni».
Antonella Damiani