L’opportunità di riflettere su concezioni della vita e motivazioni di una carriera professionale è data a volte da incontri che rivelano l’energia di una persona. Esempio di questa forza e vitalità di pensiero è Alberto Oliva che abbiamo ospitato in redazione e intervistato.
Le sue competenze e il suo curriculum sono ampi e spaziano in diversi ambiti ed attività, significativi anche in rapporto alla sua età.

Lei è regista teatrale, docente, scrittore e autore, come ha sviluppato la sua formazione di studi e qual è stata la sua prima collaborazione in zona 4?
«Dopo la laurea in Scienze dei Beni culturali all’Università Statale di Milano nel 2006, mi sono diplomato in regia alla Scuola d’Arte drammatica Paolo Grassi nel 2009. Nel 2010 l’attore Massimo Loreto, che aveva visto al Teatro Litta il mio spettacolo Il venditore di sigari di Amos Kamil, mi ha presentato a Giuseppe Scordio, che stava allestendo lo Spazio Tertulliano. Massimo voleva realizzare con me La lezione di Eugene Ionesco ma questo teatro non esisteva ancora, era l’anno in cui iniziavano i lavori».

Mino Manni e Alberto Oliva

Si trattava quindi della prima stagione, una coincidenza importante.
«Prima stagione e primo spettacolo. L’aneddoto divertente era che noi provavamo di giorno La lezione con una polvere tremenda e il cellophane alle pareti, c’era solo il palco e la nostra scenografia cresceva insieme con il teatro. Il giorno del debutto è stato anche il giorno dell’inaugurazione, il 13 ottobre 2010».
Al Tertulliano ha realizzato altre regie?
«Nel 2014 lo spettacolo Kings, con tre testi, Riccardo II – Enrico IV – Enrico V di William Shakespeare. Una mega-produzione con sette attori, Giuseppe Scordio, Piero Lenardon, Angelo Donato Colombo, Enrico Ballardini, Federica d’Angelo, Paolo Grassi, Martino Palmisano.
Nel 2011 vi ho diretto La donna che visse due volte, tratto dal romanzo di Pierre Boileau e Thomas Narcejac, con Mino Manni, Caterina Bajetta e Giuseppe Scordio».
Proprio nel 2011 ha creato con Mino Manni l’Associazione culturale “I demoni”.
«Sì, ci siamo conosciuti tramite un nostro comune professore con il quale ci siamo laureati, Paolo Bosisio che nel 2010 ha voluto me come regista e Manni come attore per il monologo di Maurizio Micheli Garibaldi, amore mio al Teatro Giacosa di Ivrea che dirigeva. In quel periodo Bosisio ci presentò a Corrado d’Elia che cercava un gruppo per fondare una nuova gestione del Teatro Libero. A settembre 2011 è iniziato così il progetto Dostoevskij, che è il nostro autore di riferimento e siamo al sesto spettacolo tratto dai suoi testi e al decimo anno di fatto delle attività».
Lei ha affermato che questo progetto è quello a cui siete più legati, ci spieghi la motivazione.
«È importante come identità e come senso del far teatro oggi. Penso e vedo che fra i miei coetanei c’è una voglia di scriversi i testi da soli, a me piace tanto andare a prendere le parole da questi grandissimi autori che possono dire dell’oggi meglio di come possiamo noi. Credo che un grande problema nella società sia l’ansia del giudizio, in tutti gli ambiti. La grandiosità di Fedor Dostoevskij è quella di riuscire a non giudicare nessuno. Si entra talmente nell’anima dei suoi personaggi, che sono dei miserabili, dei poveretti, che comprendi che dentro di te c’è quella possibilità del male, la riconosci nell’altro e la previeni».
Con quali altre realtà culturali della nostra zona ha collaborato?
«Il teatro Franco Parenti. Il rapporto con Andrée Ruth Shammah comincia, come assistente alla regia, nel 2010. Anche lei aveva visto Il venditore di sigari, mi ha sempre seguito e dopo altre mie esperienze nel 2016 abbiamo realizzato con lei in residenza un progetto triennale splendido “Prospettiva Dostoevskij” con l’adattamento integrale di Delitto e Castigo e Il topo del sottosuolo. Abbiamo poi anche ripreso Ivan e il diavolo da I Fratelli Karamazov che aveva debuttato al Teatro Libero. Al Franco Parenti sono stati anni bellissimi».
Ho notato anche la sua presenza al Teatro Oscar, come regista e come docente.
«Certo, nel 2014 per lo spettacolo Le regine di Paolo Bignamini da Maria Stuarda di Schiller, con Annig Raimondi e Maria Eugenia d’Aquino. Sono fra i docenti del Master di regia teatrale presso la Scuola Teatro Oscar DanzaTeatro, organizzato da Pacta Dei Teatri e riconosciuto da Regione Lombardia».
Mi ha colpito la sua passione per le regie liriche, ci parli di questa attenzione.
«È nata nel 2016 incontrando Adads – Accademia dello Spettacolo – Associazione di Piacenza trasferita a Milano, che organizza Opera-studio di perfezionamento per cantanti lirici provenienti da tutto il mondo. Dalla stagione 2018/19 curo le regie delle opere della Stagione Lirica del Teatro Verdi di Busseto».

Alberto Oliva nella splendida cornice del Globe Theatre di Londra

Considerando le sue inclinazioni, qual è il suo pensiero sul valore del teatro?
«Ho sempre amato i grandi testi, i grandi autori, per parlare sul contemporaneo perché credo che abbiano un occhio più lucido sul presente e mi fa piacere poter esser un tramite tra il classico e l’attualità, per esprimere contenuti oggi attraverso quello che è stato scritto ieri.
Credo che il teatro sia bello perché magico, mi piace il teatro fatto con le luci, con la scena, i costumi  e gli attori che recitano i personaggi, dove ci si immerge ancora in una magia».
Fra i riconoscimenti conferiti ad Alberto Oliva citiamo il Premio Internazionale Luigi Pirandello 2012 come regista emergente. Inoltre, dal 2013 cura la rubrica Anime Nascoste de Il Giorno e la pagina settimanale dedicata alle Botteghe storiche di Milano. Per completare il quadro di questo artista, citiamo anche la pubblicazione nel 2013 del libro L’odore del legno e la fatica dei passi/Resto in Italia e faccio teatro, dove ha raccontato con grande sensibilità la sua testimonianza professionale.

Antonella Damiani

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