Quando si parla del progetto ARIA all’ex macello si dà sempre grande enfasi al trasferimento dello IED-Istituto Europeo del Design in questa area come elemento di grande qualità. In effetti nel mix di funzioni che qui verranno insediate, lo IED porterà migliaia fra studenti e docenti a vivere il campus e di conseguenza il quartiere circostante.
Alcuni render disponibili sul progetto architettonico mi incuriosiscono e spingono a cercare un contatto diretto con l’architetto Cino Zucchi, che con il suo studio CZA è il progettista, che mi accorda volentieri un’intervista nel suo studio.
Prima ancora di entrare nello specifico del progetto, Cino Zucchi ci intrattiene sul tema più generale della rigenerazione urbana:
«Sul modello già sperimentato a Parigi, Reinventing cities esplora un nuovo tipo di rapporto tra azione pubblica e interventi privati nel disegno di nuovi ambienti urbani. Nel secolo scorso il pubblico governava la pianificazione della città disegnando la maglia dei nuovi quartieri nati per ospitare una nuova classe operaia o borghese e costruendo parchi, macelli, cimiteri, scuole. Il modello tradizionale dell’urbanistica è basato ancora un po’ su questa modalità. Ma se quello era il tempo dell’espansione urbana, oggi assistiamo piuttosto a un processo di metamorfosi delle sue parti all’interno della struttura così creata. La rigenerazione urbana contemporanea parte dalla sua forma generale ma segue nuovi valori – prima di tutto quello della nuova coscienza dei confronti dell’emergenza ambientale, che è il vero grande cambiamento culturale – e utilizza nuove modalità. I progetti progettati secondo il famoso aforisma “la forma segue la funzione” spesso non sopravvivono al cambiare o al decadere della stessa. Ma la storia della città italiana dimostra una modalità diversa, dove edifici nati su di un bisogno iniziale appaiono nel tempo capaci di rinnovarsi e accogliere nuovi ruoli proprio in virtù della loro chiarezza spaziale e della loro qualità architettonica. A Milano, il Collegio dei Gesuiti di Brera ospita oggi la Pinacoteca e l’Accademia, e l’Ospedale Maggiore è diventato l’Università degli Studi e la sede del Fuorisalone; ciò in virtù della “generosità” dello spazio dei loro cortili loggiati. E se l’urbanistica funzionalista era basata sul concetto di “zoning” che separava le funzioni urbane per categorie omogenee – le zone industriali, i centri direzionali, i quartieri residenziali satellite – oggi abbiamo anche riscoperto la qualità e la vivacità di ambienti urbani connotati dalla “mixité” delle funzioni.
Oggi il pubblico non ha sempre la forza trainante e la forza economica per governare tutto, e ha quindi imparato a non vedere più il privato negativamente. Mettere un retino su di un’area non genera la trasformazione desiderata se questa non è supportata da una ragionevolezza economica. Oggi il pubblico deve ragionare un po’ più come un privato, e viceversa il privato deve comprendere meglio le sue responsabilità nei confronti della collettività, in un’azione congiunta a somma positiva capace di interpretare nuovi bisogni e nuovi stili di vita».

Dopo questa stimolante esposizione, le mie domande mi sembrano un po’ prosaiche, ma le faccio lo stesso.

Cino Zucchi, com’è nata la vostra proposta per lo spostamento dello IED negli spazi dell’ex Macello?
«Reinventing Cities chiede agli operatori che gareggiano di dar forma a un progetto che non è solo architettonico ma anche sociale, ambientale ed economico. Il team del quale facevamo parte ha fin da subito impostato una proposta che cercava di conservare e valorizzare al massimo gli edifici esistenti sull’area perfino oltre ai vincoli dati dalla Soprintendenza. In linea con molti casi esemplari in Europa, il carattere industriale delle architetture esistenti è del tutto compatibile con un deciso rinnovo ambientale e con la creazione di nuovi spazi pubblici “porosi” e aperti alla città circostante. In essi, il verde non è solo un elemento decorativo ma piuttosto l’elemento costitutivo di un nuovo ambiente collettivo attraverso il quale le diverse funzioni dialogano tra loro e donano un carattere vibrante e attivo a un luogo protetto dal traffico veicolare che è ridotto al minimo».

Dove si colloca il vostro progetto?
«La nuova sede dello IED darà nuova vita alla porzione nord dell’area dell’ex macello che borda  via Azzurri d’Italia a ovest di viale Molise. La sua contiguità con la stazione del passante ferroviario la rende una vera e propria “porta urbana” del nuovo parco e dei nuovi tessuti misti. Il progetto prevede il riuso dei due grandi capannoni gemelli una volta utilizzati per il mercato bestiame e l’aggiunta di un nuovo edificio lineare su via Azzurri d’Italia che contiene l’ingresso al complesso e le funzioni che non potevano essere ospitate dai capannoni. Noi li stiamo riusando per le funzioni IED, aggiungendo una specie di lama verso via Azzurri d’Italia che contiene una serie di funzioni più nuove. La testata del nuovo edificio forma un grande arco rampante che inquadra lo spazio tra i due capannoni esistenti; esso non è quindi solo l’elemento identitario della nuova sede didattica, ma anche un portale urbano per l’intero complesso, una versione contemporanea e leggera dei caselli daziari o dell’arco Salvini di Porta Venezia. La nuova città ha bisogno di nuovi ambienti ma anche di nuove figure urbane, e questa ci sembrava adeguata a rappresentare la metamorfosi di un luogo capace di unire preesistenze e le nuove funzioni di una Milano policentrica e inclusiva».

Mi faccio poi raccontare come saranno organizzati gli spazi: il cosiddetto capannone 12 a ovest manterrà la continuità della navata centrale e ospiterà aule, laboratori, sedi amministrative. Il capannone 20 a est contiguo con il nuovo edificio conterrà la biblioteca, la caffetteria e l’aula magna, tutte funzioni aperte anche al pubblico. Al suo interno sarà ricavata “per forza di levare” una grande corte verde per creare nuovi affacci alle aule che manterrà le strutture di cemento come sono.
I due capannoni così riformati abbracciano l’asse mediano che rimarrà pubblico, ma saranno collegati tra loro non da un semplice tunnel sotterraneo ma da uno spazio fruibile che a tratti diventa una sorta di grande scala-teatro. Gli spazi diversi che ospitano i magazzini e altri locali tecnici, laboratori di falegnameria e metalli, sale di posa e altri locali didattici che non hanno bisogno di luce naturale. L’edificio nuovo su via Azzurri d’Italia ospiterà a piano terra le segreterie studenti, la segreteria e ai piani superiori aule speciali, uffici per i professori e la scuola di master con una maggiore contaminazione tra didattica e ricerca.

La forma del nuovo edificio sicuramente incuriosisce, Cino Zucchi dice qualcosa?
«La riforma dei due capannoni esistenti è improntata a insediare in essi nuove funzioni valorizzandone la struttura in cemento a grandi luci strutturali. Il nuovo edificio esprime un’estetica contemporanea con la sua pelle cangiante in alluminio e vetro. Esso dona un nuovo fronte urbano a via Azzurri d’Italia, e agisce come un segnale da viale Molise e dalla fermata del Passante, una specie di grande magnete che attrae e dirige i flussi degli studenti e del pubblico verso il nuovo parco. Alcuni suoi elementi formali, in particolare il motivo ad archi ribassati sospesi sopra la grande vetrata continua del basamento evocano il paesaggio industriale circostante, in particolare il profilo dei capannoni adiacenti al Palazzo del Ghiaccio. Questa unione di vecchio e nuovo, di preesistenze riformate e architetture contemporanee, è forse l’elemento portante della rigenerazione urbana di ex aree industrial come questa, da noi già sperimentata con successo alla ex Junghans a Venezia, al Portello di Milano, al Campus Lavazza a Torino e in molti altri progetti in Italia e in Europa».

Stefania Aleni con gli architetti Cino Zucchi e Michele Corno

E sui tempi?
«Il cronoprogramma prevede l’apertura entro l’anno accademico 2025/26. Per ora lo stiamo rispettando, anche i progetti di questo tipo implicano procedure complesse, con molti attori diversi da soddisfare e molti imprevisti lungo il percorso. Ci sono molte variabili che devono collimare tra loro ma stiamo cercando di arrivare pronti non appena il piano attuativo sarà approvato. Ci siamo già confrontati con la Soprintendenza con cui abbiamo un dialogo costante e l’interlocuzione è positiva. Restaurare l’architettura del secolo scorso è a tratti più complesso di operare su di un edificio del Rinascimento, e non è sempre facile farlo nel rispetto degli obiettivi energetici e ambientali richiesti oggi. Attribuire agli edifici esistenti non solo un valore d’uso ma anche uno di natura culturale può avere un costo, ma vale la pena di affrontarlo per generare una città che sappia integrare contemporaneità e storia, innovazione e stratificazione urbana, ambedue valori che fondano il fascino e la qualità di vita delle città europee».
Siamo arrivati alla fine dell’incontro; l’architetto Zucchi mi augura con un po’ di ironia una “buona sbobinatura” del suo flusso ininterrotto di descrizioni e concetti e per “aiutarmi” fa una sintesi finale di pochi punti, ma preferisco fare tutto da sola per riportare con maggior ampiezza il suo pensiero e le sue spiegazioni.
Ne è valsa sicuramente la pena.

Questi i componenti del Design Team CZA: Cino Zucchi, Michele Corno (Project Leader), Nayeon Kim (Senior Architect), Valentina Capra (Architect), Antonello Calabrese (Architect), Beatrice Arcaio, Giacomo Rinoldi, Giuseppe Rizza, Nora Bozolo.