Diamo per certo che Leone Lodi (1900-1974) non avesse abituali frequentazioni con il turpiloquio, visto che in tempi meno cafoni dei cafonissimi tempi attuali la forma sapeva essere sostanza, il linguaggio conosceva verbalismi più articolati e, soprattutto, si contestualizzava, nel senso che ciò che era norma nella caserma veniva sanzionato a scuola, si cercava di correggerlo in famiglia e non era pensabile nei pubblici contesti, figuriamoci in una chiesa.
Tuttavia se in quell’occasione Lodi si fosse lasciato andare a sfoghi dialetticamente ficcanti avrebbe avuto ogni ragione, anche se le testimonianze riferiscono che la manifestazione del suo disappunto fu contenuta.
Mettiamoci nei suoi panni. Lui, scultore, e che scultore, il più presente quanto a opere a Milano, scolpisce nell’alabastro una Madonna di formato tutt’altro che piccolo, insomma non una statuetta da souvenir tipo Lourdes, e mentre la stanno collocando nella sede per cui è stata scolpita, cioè la chiesa di Santa Maria del Suffragio, se la vede cadere e rompere all’altezza delle ginocchia: eh be’, occorrerebbe essere santi ascesi agli altari dopo avere messo a segno i miracoli di routine, cioè quelli che fanno il curriculum finalizzato all’ascesa, per non prorompere in esternazioni capaci di assumere forma attraverso l’entità della sostanza.

Leone Lodi con la statua del Sacro Cuore

Invece solo dolorosa verifica della portata del danno e corsa a Volterra, fra le cave di alabastro e le migliori maestranze possibili, dove lo scultore ha messo insieme la squadra di “ortopedici” che l’hanno aiutato a sanare la statua.
Leone Lodi era arrivato a Milano quattordicenne, alla vigilia della I Guerra Mondiale, artigiano decoratore con davanti le prospettive che poteva offrire la grande città rispetto alla piccola Soresina, prime fra tutte quelle di potere studiare e perfezionarsi, dai corsi serali dell’Accademia di Brera alla Scuola Superiore d’Arte.
La città gli aveva aperto le porte permettendogli di mettere insieme un trentennio denso di lavoro e soddisfazioni, interrotto dall’aviazione anglo-americana che nel 1943, cercando di fare centro sulla Stazione Centrale, gli aveva invece colpito lo studio di via Copernico. Da lì il ritorno alla più tranquilla Soresina, nella dimensione umana del piccolo centro in cui tutti si conoscono e parlano allo stesso modo, nel dialetto molto più vicino al cremonese rispetto al meneghino che s’era lasciato dietro le spalle.
A Milano nel 1928 Lodi aveva scolpito quattro statue in travertino per la sommità della facciata del Palazzo Società Adamello, in via Caradosso 16, per ripetersi due anni dopo su Palazzo Mezzanotte, che quasi nessuno sa dove sia, ma se si dice “Borsa” allora diventa tutto un “Ah sì”: ancora travertino per le sculture della struttura frontale attualmente sbeffeggiata dal dito medio di Maurizio Cattelan, più le dodici formelle dei Segni dello Zodiaco e i tre medaglioni posti sulla facciata laterale.
Nel 1933, per il Palazzo dell’Arte attuale sede della Triennale, aveva poi scolpito la Donna seduta, e aveva iniziato a occuparsi della chiesa di Santa Maria del Suffragio, facendola oggetto per vent’anni di una attenzione che la partenza da Milano non affievolì. L’esordio avvenne con il Sant’Antonio in travertino che, sguardo al cielo, regge sulla spalla un bimbetto parecchio irrequieto e per di più dorato come un gianduiotto, e che si trova immediatamente a sinistra, sostenuto da un basamento recante tre pregevoli bassorilievi.

Sant’Antonio

Quattro anni dopo seguì la Madonna della Misericordia, scolpita nelle seducenti traslucidità dell’alabastro, tanto diverso dalla gessosa opacità del travertino.
Divenne un idearla, scolpirla, rifinirla, lustrarla e, accingendosi nel febbraio 1937 a metterla in sede, assistere al tonfo e al “crac” della sciagura.

Madonna della Misericordia

Da qui Volterra, e il risanamento. Ed eccola questa Madonna della Misericordia, Mater Misericordiae per i più colti ansiosi di far sapere quanto colti siano, che si trova subito a destra, le fratture ancora ben visibili a segnare le sue levigatezze, il braccio destro che regge il bimbo che sembra volere scendere tal quale quello del dirimpettaio Sant’Antonio, mentre la Madre ne segue l’irrequietezza con il bel volto assorto e la mano destra alzata in un gesto tranquillizzante.
Ma non è tutto, perché in Santa Maria del Suffragio, come vedremo nel prossimo numero, dello “scultore più presente in Milano” c’è altro ancora.
Dopo l’incidente che l’aveva lesionata, la Mater Misericordiae tornò in Santa Maria del Suffragio, e nel maggio dello stesso anno (1937) venne sottoposta fra nugoli di cresimandi e relativi parentadi al giudizio del cardinale Schuster, che non si lasciò andare più di tanto. Disse che avrebbe preferito vederla con maggiore calma, tuttavia “Per i tempi che corrono non è cattiva” aggiunse, e chissà se nel giudizio non ci fosse la riserva che i tempi che correvano avevano fatto nascere, in quanto fra gli abitanti della zona venne fatta circolare la sciocca voce (di cui abbiamo avuto testimonianze dirette) che il gesto di pace della statua altro non fosse che un accenno di saluto romano, cosa che piaceva ai simpatizzanti del regime, interessati elargitori della voce stessa.
Leone Lodi, del resto, nell’epoca in cui tutti cercavano di dimenticarsi e, soprattutto, di fare dimenticare di essere stati fascisti, venne definito “scultore del ventennio”, cosa non confutabile visto che ben nel ventennio s’era trovato a operare, alla pari della moltitudine degli altri artisti di arti varie che avevano fatto altrettanto, salvo poi affrettarsi a mutare la ormai compromettente gabbana.
È indubbio che molte sue opere, intrise delle pulsioni del Novecento, hanno fatto sì che la loro essenzialità estetica fosse gradita al regime fascista, come il complesso di bassorilievi posti sulle due facciate esterne del Comando Regionale della Guardia di Finanza (1938), con quella su via Tonale che mostra una striscia a tutta altezza dell’edificio dai rilievi a tre piani intitolata Civiltà e ascesa della Giustizia Sociale, il cui piglio “littorio” va ad associarsi alla balconata che sovrasta l’ingresso di via Filzi, dove un rilievo di utensileria è compreso fra un paio di aquile le quali, innocenti anime, vegliano sul XVI che starebbe per sedicesimo anno dalla Marcia su Roma.
Ma Lodi era versatile, e parecchie altre sculture escono dagli schemi modernisti mitigate dalla sensibilità che lo portava a morbidezze figurative testimoni di una sentita analisi spirituale, come appunto la Mater Misericordiae.
La sua arte è apparsa a qualche critico caratterizzata da “espressività arcaiche pre-rinascimentali, in una sintesi di forme quasi medievale”, nel non dire niente dicendo tutto e viceversa che i critici utilizzano per fare sentire ignorantissimi coloro che, al cospetto dei pregnanti concetti espressi, tardano ad alzare le mani e a darsi prigionieri del tanto sapere.
Tempi o non tempi, Leone Lodi distribuiva sculture per Milano, facendo seguire alle grandi statue in marmo del 1932 che sovrastano il palazzo di via Meravigli 3 – per guardare le quali occorre mettersi sul marciapiedi opposto e disarticolare le vertebre cervicali da tanto occorre alzare la testa – i bassorilievi che caratterizzano le sovrapporte del Palazzo di Giustizia (1938), e i rilievi angolari sulle pareti esterne della Bocconi (1939).
Il cambio di residenza non troncò il rapporto privilegiato fra scultore e metropoli, tant’è che a Soresina hanno preso forma nel dopoguerra le opere destinate a lasciare quelle nebbie per l’altrove che spesso tornava a identificarsi con la mai dimenticata città, come la statua in bronzo dell’Apollo che schiaccia la testa di Medusa (1949) collocata nell’atrio del Teatro Manzoni, il leone di San Marco in rilievo sulla facciata d’angolo fra Largo Augusto e Via della Signora (1952), e di nuovo leoni, in coppia in corso Magenta (1955), fino alla statua della Madonna in Santa Maria Nascente (1962), e altro ancora, Milano territorio di estro e di impegno.

L’altare

Ma con Santa Maria del Suffragio non era finita, così ecco arrivare il grande Cero Pasquale, consegnato il mercoledì santo 1947, che si trova a ridosso dell’altare, sulla destra, e lo sbigottente altorilievo Sacro Cuore (1953), con un Gesù di grandi dimensioni che pare uscire dalla parete di sinistra, e che ha fatto dire allo scultore: “Sono tanto lieto di vedere che il pubblico lo ha compreso nella sua delicata dolcezza e classicità di forme”, così come degni di nota sarebbero anche i bassorilievi dell’altare, che però solo chi dice messa può apprezzare.

Il Cero pasquale

Certo vivere in una città e non conoscerla non è né un delitto e neppure un peccato, e si può continuare a deambularvi come bruti assorti nell’imperante idiozia da smartphone, magari progettando viaggi per ammirare le bellezze di immaginifiche mete. Però, volendo farne uno a costo zero, si potrebbe cercare di mettersi in confidenza con Milano magari, per amore di bandiera, partendo proprio dalla chiesa di Santa Maria del Suffragio, sulle orme di quello che è stato un significativo artista.

Per le immagini ringraziamo l’Associazione – Archivio Leone Lodi