L’ultima volta da presidente Sandro Pertini era venuto a Milano il 7 e 8 dicembre 1984 e non era stata una visita  tranquilla. La sera del 7, alla prima della Scala (Carmen di Bizet, dirigeva Abbado), in piazza c’erano centinaia di licenziati della Magneti Marelli, ai quali Pertini espresse poi solidarietà nonostante avessero contestato anche lui, assieme all’allora capo del governo Craxi e ai ministri. Lo notò stupito perfino il New York Times Times, riportandone le parole: “Anch’io da giovane ho protestato, anch’io sono stato operaio e so cosa vuol dire essere disoccupati, è una condizione terribile”. Quei lavoratori li riceverà infatti calorosamente il mattino dopo, alle 8 e 45 in Prefettura, prima dei successivi impegni e di un pomeriggio in famiglia accompagnato, come sempre a Milano, dal cognato e amico Umberto Voltolina.

La posa della corona al Centro civico Sandro Pertini

Il 25 maggio scorso, invece, Pertini è tornato in città solo nel ricordo, per la cerimonia annuale di commemorazione al Municipio di via Oglio 18 che gli è intitolato. A fare gli onori di casa, con il presidente del Municipio 4 Stefano Bianco (“Pertini si distinse in ogni frangente come uomo di saldi e laici principi morali: un vero costruttore di democrazia”), la vicesindaco  Anna Scavuzzo, ANPI, FIAP e nuovamente Umberto Voltolina, nel frattempo subentrato, dopo la morte della sorella Carla vedova di Pertini, come presidente della Fondazione che del “presidente partigiano”, a 33 anni dalla scomparsa, promuove e valorizza la memoria.
Con Voltolina ragioniamo di passato e presente, ma soprattutto di ciò che Pertini ha lasciato e potrà lasciare oggi in eredità, nella città e nel quartiere che risposero in massa, il 25 aprile 1945, al suo celebre appello all’insurrezione a nome del Comitato di Liberazione Alta Italia: “Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”.


Cos’era stato, per Pertini, quel 25 aprile? «Una giornata di trionfo dopo una lunghissima battaglia personale e politica, 18 anni complessivi tra condanne, arresti, esilio, carcere, confino, fughe e resistenza. Ma anche un giorno di lutto, perché proprio in quelle ore, come ebbe a raccontarmi, seppe della sorte del fratello minore Eugenio, finito a colpi di fucile dalle SS il 29 aprile durante la marcia della morte dal lager di Flossenbürg, dove era rinchiuso dal ’44».
Parlava spesso, in privato, della Resistenza? “Meno di quanto si potrebbe pensare alla luce dei suoi discorsi pubblici, e sempre parlando di altri, quasi mai di sé. Ciò che specialmente lo aveva segnato indelebilmente era la lunga esperienza della galera da “recluso politico”, la definizione con cui aveva firmato nel 1933 il secco rifiuto della grazia chiesta per lui, in un momento di disperazione, dalla madre. E col pensiero tornava spesso, come accade invecchiando, proprio alla madre, che dopo quell’episodio aveva potuto incontrare una volta sola, ammanettato e sotto scorta».
La lunga e fierissima “carriera” del recluso politico socialista Pertini, oppositore indomito anche quando il regime sembrava aver piegato la maggioranza degli italiani con la propaganda e la paura , è tutta registrata, come ricorda Voltolina, in centinaia di documenti d’archivio e di testimonianze: prima condanna a otto mesi, nel 1925, per aver redatto un volantino di protesta, nel 1926 condanna a cinque mesi di confino, poi espatrio clandestino con Turati in Francia e nuova condanna del Tribunale speciale a 11 anni di carcere al rientro in Italia nel ’29 per “aver comunicato e diffuso voci e notizie false per modo di menomare il prestigio dell’Italia all’estero… e svolto attività tale da recare nocumento agl’interessi nazionali”; in cella d’isolamento nell’ergastolo di Santo Stefano, poi, dal 1930, malato di tubercolosi, trasferito a Turi dove incontra Gramsci e gli diventa amico, dal ’32 a Pianosa, dal ’35 condannato per 5 anni al confino a Ponza (bastava un’ordinanza, non occorreva processo) e ancora nel ’40 ordinanza prefettizia che gli commina altri cinque anni di confino a Ventotene perché “ritenuto elemento tuttora pericolosissimo per l’ordine nazionale”.

Sandro Pertini a Milano ai funerali di Antonio Greppi, 24 ottobre 1982

Tutto scritto, ma in fondo meno raccontato rispetto all’epopea della guerra partigiana, come succede quando infine c’è una vittoria da celebrare. «Anche Pertini – chiosa Voltolina – rifletteva a volte sul fatto che le esperienze peggiori si tende più facilmente a non volerle rammentare, ma bisognerebbe non dimenticarle mai». Pertini ricordò da Presidente della Camera il 23 aprile 1970, celebrando il venticinquennale della Liberazione, che “su 5619 processi del Tribunale speciale 4644 riguardavano operai e contadini”, ribadendo il nesso strettissimo tra libertà e giustizia sociale. Quei processi inflissero complessivamente 28mila anni di carcere, mentre tra il 1926 e il 1943 i confinati politici assommano a 15mila, per crescere fino ai 23.826 deportati politici, 8.000 ebrei italiani e 716mila militari reclusi nei lager nazisti dopo l’8 settembre.
Così il “segno indelebile” lasciato nella biografia di Pertini da quel ventennio di libertà cancellata dai soprusi può diventare, col suo ricordo, le lapidi, i monumenti e anche le intitolazioni di un Centro civico nel Municipio 4, un segno più pienamente visibile nella biografia della nazione.

Maurizio Bono