Incontro con lo speaker punkabbestia più “artivista” di Virgin Radio
A poche settimane dalla nascita del figlio Leonardo abbiamo raggiunto Andrea Rock, al secolo Andrea Toselli (classe 1982), nel suo quartier generale in via Perugino: Attitude Studio. Accomodatici in una sala accanto a quella nella quale i Rosko’s – sua storica band – hanno registrato nuovo materiale, accendiamo i nostri microfoni.
Andrea, la tua vicenda personale pare decisamente legata a questa zona.
«Sono nato in questo “blocco”, come direbbero gli americani, precisamente in via Anfossi. Una strada che ai primi del ‘900 era periferia pura. Via Anfossi ha sempre storicamente avuto una doppia componente: da un lato prossima al centro, potenzialmente attraente per esercizi commerciali e grandi brand, da Prada a Ernst Knam, dall’altro di vocazione popolare. Questo imprinting è stato ben presente nella mia crescita, tenendo i piedi in due scarpe: visione che mi ha dato nel tempo una prospettiva sicuramente più rotonda sul mondo. Oggi lavoro in una radio di mainstream rock ma frequento contesti punk».
Come convivono in te l’immagine di speaker radio mainstream e quella di punk rocker?
«Grazie alla filosofia del Do it yourself, in bilico tra mainstream e underground. Oscillo tra la paura di non aver trovato ancora il mio posto nel mondo e la sensazione di aver anticipato il trend della fluidità nella quale si può essere un po’ quello che si vuole senza farsi troppe paranoie».
Quando “hai visto la luce”, ovvero scoperto il rock?
«Nell’estate del ‘96 il mio allora professore d’inglese organizzò una classica vacanza-studio in Irlanda. Per la prima volta lontano da casa ho conosciuto ragazzi più grandi, vestiti in maniera stramba e che suonavano punk: ecco la luce (sorride)! All’epoca la mia isola felice erano fumetti e manga, ne leggevo tanti e mi inventavo storie da disegnare, ma appena tornato mi sono fatto regalare una chitarra elettrica: quella e il microfono sono diventati i miei strumenti per interpretare il mondo e relazionarmi con esso».
Punk rock saved my soul, per citare un tuo brano. E quando hai capito cosa avresti fatto da grande?
«Spendevo i miei pochi risparmi in CD e riviste musicali: la voglia di raccontare la musica è venuta presto. Poi verso la fine degli anni’90 ho deciso di bussare alla porta di Rock Tv – cercando follemente di farmi notare raccontando aneddoti sulle band di cui ero informato all’interno dei famosi box delle video-dediche del giovedì sera al Rolling Stone di Corso XXII Marzo, che molti ricorderanno. Così grazie alla mia temeraria perseveranza un giorno si è presentata l’occasione: la proposta da parte dell’emittente di intervistare a Torino i Black Rebel Motorcycle Club. Da allora mi sono fatto le ossa con altre imprevedibili interviste, ma continuando a essere il più preparato possibile. E ha funzionato: sono passato dall’essere “panchinaro” a volto principale dell’emittente».
Da lì ha inizio una lunga gavetta che ti porta un giorno a Virgin Radio.
«A Virgin, oltre che come voce per vari jingle, sono stato prima autore per diversi programmi, poi dal 2009 e ancora oggi regolarmente in onda con Virgin Generation. Qui tratto con orgoglio contenuti un tempo considerati nerd che ho battagliato per divulgare, ma che oggi ripagano: sport americani (NBA e NFL) e fumetti. Ho sempre cercato di puntare sulla qualità: l’aneddoto più curioso, il disco più interessante, la riflessione che nessun altro ha ancora fatto. Questa è ancora la mia cifra: aspirare a coltivare un’attitudine personale».
La parola attitudine ritorna spesso e credo non a caso. Quando è nato il tuo Attitude Studio?
«Fin da ragazzino sognavo il famoso scantinato nel quale suonare con la mia band. Poi è arrivato il momento di poter investire: firmato il compromesso a gennaio 2018, ho aperto al primo cliente a gennaio 2019. Payoff: “The only thing money can’t buy”. Perché? Puoi comprare i migliori plugin, hardware, testate e chitarre, ma se non hai attitude puoi appoggiare pure le mani su una chitarra e non uscirà niente. L’attitude è l’unica cosa che non si può comprare. Abbiamo già prodotto tanti dischi, da poco esiste anche la label Attitude Records e un catalogo con nomi principalmente di emergenti italiani e presto qualcosa dall’estero. Il nostro primo servizio è dare supporto a coloro che sono sprovvisti di un editore e non abbiano competenze per pubblicare la propria musica».
Mi piace sottolineare il tuo impegno anche in diversi progetti per il sociale. Cosa ti dà?
«Mio nonno mi ha insegnato l’importanza della condivisione. Chiunque abbia la possibilità di fare un mestiere come il mio deve restituire qualcosa. Se le giornate fossero di 72 ore andrei più spesso nelle strutture ospedaliere a cantare per i bimbi degenti nei reparti di oncologia, passerei più tempo con i miei attivisti di Amnesty, mi piacerebbe fare di più per l’associazione che aiuto in supporto ai ragazzi diversamente abili a Como. Purtroppo distanze e tempi non me lo permettono sempre, però tengo alto l’impegno online tramite call-to-action, raccogliendo fondi attraverso la pubblicazione di musica, eventi, o con mie performance gratuite. Con gli Andead tante volte abbiamo cantato di diritti umani, contro i discorsi d’odio nelle manifestazioni politiche, o sulla definizione di genere: d’altra parte se una punk band non parlasse di sociale avrebbe sbagliato. Mi sento un artivista, cioè un artista- attivista».
Strade e obbiettivi sono tanti: come e dove ti vedi tra una decina d’anni?
«Anzitutto padre di un bellissimo bambino di 10 anni (sorride)! Quella con Leonardo è un’avventura che ho appena iniziato e non vedo l’ora dei capitoli successivi. Dal punto di vista professionale, col beneplacito della mia compagna, credo che non smetterò mai di suonare. Più di tutto però mi piacerebbe un ruolo di responsabilità, per poter cambiare le prospettive in un mondo complesso come quello della radiofonia: vedo il futuro in quelle “nicchie” di cui parlavo sopra. Al di là di queste mie personali aspirazioni in vista di un ideale 2033 sarà necessario un approccio più metodico che strutturale. Tutto sta cambiando e così dobbiamo fare anche noi».
Luca Cecchelli
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