Ricordare Gabriele Basilico e la sua capacità di ascoltare il cuore delle città: l’occasione è offerta da un’ampia mostra articolata in due sedi espositive, record di accessi durante le scorse settimane. A dieci anni dalla sua scomparsa, Milano dedica a uno dei maggiori fotografi di paesaggi urbani del Novecento un doppio percorso, tra Palazzo Reale e la Triennale. In particolare, negli spazi di piazza del Duomo l’esposizione rimane visitabile fino all’11 febbraio e presenta una selezione dei lavori sulle grandi committenze internazionali di Basilico, che continua a colpire per la vivacità e il cosmopolitismo del suo sguardo. Più di altre metropoli, è però il capoluogo lombardo ad aver offerto all’artista la possibilità di sperimentare forme e immagini, tanto da radicarsi alla base della sua poetica.
Non possiamo che parlarne con Giuseppe Corbetta, autore del volume Milano sud. Ritratti di fabbriche 35 anni dopo, che QUATTRO ha pubblicato nel 2017
È passato qualche anno, ma continua la sua ricerca attorno alle geografie che hanno ispirato Basilico.
«Proprio così. Quella di Basilico è la più importante documentazione fotografica delle fabbriche attive sul territorio urbano milanese, e dopo essermi concentrato sull’area che da Vigentino/Scalo Romana arriva sino a Rogoredo, mi sto dedicando al nord-ovest della città, che per storia e tradizione presenta un’altissima concentrazione di sedi industriali. Oggi il progetto è gestito da Forme Urbane, con i miei figli Valeria e Andrea, Stefano De Crescenzo e Valentina Brunello».
Fotografia e architettura: come si traduce sul piano operativo la sua opera di recupero e valorizzazione degli scatti del Maestro?
«Nel 1978 il Politecnico di Milano commissionò al fotografo una rassegna sistematica di tutte le zone industriali della città; si tratta di una sorta di mappatura, un inventario della periferia milanese. A me interessava attualizzare questa lunga indagine, reinterpretandola a distanza di 35 anni: così, nel 2010 ho preso la mia fotocamera digitale e mi sono messo sulle tracce dei luoghi individuati da Basilico per verificarne lo stato, i cambiamenti, talvolta il degrado, ma pure i reimpieghi. È la storia dello sviluppo post-industriale della città, che racconto per testi e immagini delle sue trasformazioni, per capire cosa c’era, cosa c’è e cosa ci sarà».
Come con le briciole di Pollicino, ha insomma ricostruito i percorsi originali di Basilico, in un dialogo tra vecchio e nuovo: qual è stata la difficoltà maggiore?
«Sicuramente l’attesa del momento giusto per avere la luce perfetta, così da poter cogliere gli edifici con la migliore illuminazione. Come ricorda Giovanna Calvenzi (moglie del fotografo, tra le prime persone ad aver creduto nel progetto, ndr), la ricerca del bilanciamento luminoso nell’inquadratura era il punto di partenza anche per Basilico».
Perché questi spazi erano così importanti per Basilico?
«Sono rimasto affascinato dalla sua estrema curiosità, il suo fascino sincero verso le periferie. Per Basilico era una questione di vitalità: i siti industriali sono zone instabili, in continuo movimento, e per questo estremamente espressive. Non è un caso che Basilico li chiamasse “meridiani di energia”».
Qual è il lascito della ricerca di Basilico?
«Credo che il suo immenso archivio possa aiutare a conoscere i tanti perché della nostra città. Due sono gli elementi che mi piace citare: la quantità di Corpi Santi, originariamente autonomi e solo in un secondo momento annessi al Comune, e l’importanza del riordino ferroviario nel conferire a Milano l’assetto che conosciamo oggi. Scoprire le facciate e gli scorci immortalati da Basilico significa avvicinarsi a un patrimonio immenso consegnato alla storia: sono trascorsi oltre quattro decenni dalle sue esplorazioni, e da quando ho chiuso il libro a oggi la trasformazione urbana ha vissuto un’enorme accelerazione».
Se dovesse indicare tre luoghi emblematici nei nostri paraggi…
«…Partirei dal Panificio Automatico Continuo di via Quaranta, un bell’esempio di continuità funzionale. Poi, il Consorzio Agrario in via Ripamonti, futuro studentato universitario, e l’imponente ma poco nota scala del Portaluppi nell’ex Molino Besozzi Marzoli in via Adige all’angolo con piazza Trento. Meravigliosa».