Un bilancio della prolifica attività del brianzolo che continua a p(i)anificare il futuro

 

Davide Longoni

Davide Longoni e Luca Cecchelli al Circolino del Pane ©Quattro

Traguardo importante per uno degli innovatori della panificazione che – oltre a compiere 50 anni – festeggia anche il decennale della sua personale avventura professionale avviata nel 2014 in via Tiraboschi, primo esercizio milanese insieme al laboratorio di via Tertulliano 68. E proprio a quest’ultimo indirizzo QUATTRO ha fatto visita a Davide Longoni.

È una atipica giornata di primavera quando siamo accolti al Circolino del Pane, progettato dalla designer Astrid Luglio. Rimarcando da subito una formazione umanistica, si siede spiegandoci la magia di questo luogo, da lui fortemente voluto: «A me e al mio team piace fare riunioni a tavola: oggi con me Filippo – responsabile di un’azienda a Mulini del Ponte, Castelvetrano – cucinerà couscous alla trapanese per tutto lo staff. Questo mestiere è aggregazione».

L’intervista si colora di profumi mediterranei mentre Longoni ricorda le sue origini: «Vengo dalla tradizione lombarda che vede tramandare il forno di padre in figlio, la mia famiglia ne ha ancora oggi uno a Carate Brianza». Tradizione apparentemente interrotta nei primi anni ’80 dalle minacce della GDO quando i supermercati sembrarono spodestare i forni di quartiere: «Mio padre intravedeva la crisi e mi spinse a cambiare rotta, così mi sono laureato in lettere. A 30 anni però sono tornato a prendere il testimone. E dopo due lustri in provincia ho capito che là i miei orizzonti professionali sarebbero stati limitati. Milano rappresentava il contesto che poteva permettermi di sperimentare, recuperando la tecnica della lievitazione naturale. Con questa aspirazione ho inaugurato la sede in zona Porta Romana».

Gli spazi di Tertulliano invece sono quelli del comprensorio che fino ad alcuni decenni fa aveva ospitato le officine delle ex batterie VARTA: «A oggi in questa area contiamo 700 mq tra laboratori, uffici, panificio, pasticceria e questo Circolino. Entro settembre acquisiremo ulteriori 300 mq, allargando il centro di produzione per poter rifornire i nostri negozi. In zona ne abbiamo quattro – lo spaccio qui accanto; via Tiraboschi 19; via Bronzetti 9 e il Mercato del Suffragio, dove siamo assegnatari fino al 2027».
La maggior parte della materia prima proviene da ex terreni abbandonati presso la vicina Abbazia di Chiaravalle, dove Longoni possiede oggi 12 ettari di campi di grano, mentre in Abruzzo anche quelli di olive, «oltre ad altri tipi di rifornimenti da diversi mugnai e agricoltori, come il nostro Filippo» (a cui sorride passando il sale).

Nel 2014 immaginavi tutto questo?
«Non avrei potuto prevedere che in pochi anni da 4 collaboratori saremmo diventati 70 a condividere i valori di questa visione. Il punto di forza? La voglia di lasciare un segno nella contemporaneità. È stata necessaria una rottura con la vecchia concezione dell’azienda: qui siamo tutti under 30 – solo io smentisco questa media – cosa che ci permette di essere il più possibile connessi alla modernità. Porteremo questo spirito anche in serate a tema dal titolo Pani+Co con dj set e street food: stiamo pianificando tra primavera e autunno una sorta di Festival in Tertulliano».

Uno dei laboratori di Davide Longoni in via Tertulliano ©Quattro

Oggi questa tua tipologia di pane è diventata la “normalità” per la clientela milanese? «C’è voluto tempo per farne apprezzare gusto, profumo, acidità e crosta. Anche se l’affermazione del nostro nome non ha rappresentato una garanzia di popolarità: continuiamo a proporre prodotti non per tutti. Grani autoctoni, farine macinate a pietra, lievito madre e grande formato: elementi alla base di un pane come la Tumminia, uno dei più richiesti».

Quale interesse senti invece rispetto al mestiere di panificatore, anche in qualità di formatore? «Molti miei allievi stanno aprendo panifici: è una professione che attira. E premia. Nonostante sia sempre stato notoriamente vissuto come mestiere duro. Credo perché di fatto spaventa più la noia della fatica: molto più frustrante un lavoro che non restituisce il senso dei propri sforzi».
Balzano all’occhio, sugli scaffali circostanti, anche copie de L’Integrale, progetto editoriale parte di questo nuovo modo di concepire il pane, prodotto anche culturale: «Siamo stati i primi della categoria a creare margine per pagare autori, grafici e fotografi a cui affidare contenuti per una rivista di settore – il prossimo numero in uscita, l’ottavo, si intitolerà Splash. Dal momento che si vendono circa 2000 copie a numero è diventata un’impresa». Molta dell’ispirazione viene dal mondo del vino: «L’idea è che, come esistono diverse uve per produrre Pinot e Sangiovese, così si possano panificare varietà di grano con misure, colore e altezze differenti, oltre al farro e alla segale. Questa la nostra filosofia».

Scaffali con i numeri de “L’Integrale” presso il Circolino del Pane ©Quattro

Mentre si alza facendo strada fuori dal Circolino, prima accompagnandoci a visitare gli altri laboratori per poi congedarsi allo spaccio davanti a una squisita e assortita degustazione finale, tiene a ribadire quanto il pane rappresenti il vero core business dell’attività, non solo perché 35% del fatturato, ma anche per genuino valore d’impresa sociale: «La svolta è stata intuire che il mio compito poteva andare oltre mescolare acqua e farina. E anche che certi obbiettivi non si raggiungono da soli, ma in buona compagnia. Non sarà un caso che “compagno” – da Cum Panis, che è anche il nome della Srl – significa “colui che mangia il pane con un altro”. Questo alimento possiede una centralità antropologica che ci riguarda ancora e che per questo bisogna rinnovare, soprattutto se vogliamo immaginare un’umanità capace ancora di “condividere”».

Luca Cecchelli
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