Nato a Soresina, si trasferisce molto giovane a Milano per dedicarsi all’attività artistica: di giorno lavora presso studi di scultori, tra cui il più famoso Adolfo Wildt, e di sera studia all’Accademia di Brera e alla scuola Superiore D’Arte del Castello Sforzesco dove insegnerà due anni. Le sculture per il Palazzo della Borsa, i rilievi dell’Università Bocconi e le opere del Cimitero Monumentale sono solo alcune delle opere che il nostro sguardo può facilmente incontrare passeggiando per le vie della città. Della sua opera parlerà nei prossimi due numeri di QUATTRO Giovanni Chiara; qui vogliamo far conoscere da vicino l’umanità di questo artista attraverso una intervista alla figlia Daniela, alla quale siamo legate da un profondo e duraturo rapporto di affetto e di amicizia.
Chi era tuo padre, al di là dell’artista, al di là dello scultore?
«Premetto che in mio papà si percepiva sia l’uomo che l’artista e questi due aspetti non erano mai disgiunti. In famiglia era molto affettuoso e di buon umore, non lo ricordo arrabbiato. Amava l’armonia e se sentiva noi bambine litigare ci richiamava affinché trovassimo un accordo (appena si allontanava riprendevamo a litigare). Era una persona generosa, socievole e ospitale, offriva spesso merende e cene e aiutava amici artisti in difficoltà. L’amore per ogni forma d’arte era insito in lui, lo si respirava attraverso le persone che frequentavano sia lo studio, sia la casa; e parlo di artisti, poeti, scrittori, architetti (per citarne alcuni: Sironi, Carrà, Usellini, Pica, Quasimodo), e persone comuni con le quali il confronto era sempre vivace e interessante. Le sue considerazioni non erano mai banali o scontate. Era dotato di grande ironia, parlava spesso per immagini e aveva una visione positiva sia dell’uomo che della vita. Era appassionato di libri antichi, riviste d’epoca; arrivavano spesso antiquari a fargli proposte d’acquisto di edizioni rare. Per settimane abbiamo avuto in casa e nel suo studio un bibliotecario per catalogarli tutti. Con noi figlie parlava poco del suo lavoro e in special modo delle opere realizzate in passato. Guardava al presente e ai progetti futuri, anche per questo è stato difficile ricostruire il suo percorso artistico nella realizzazione dell’Archivio, avvenuta nel 2004 quando abbiamo costituito l’Associazione Leone Lodi. Ci siamo tutti sorpresi della quantità di sculture che avesse realizzato sia in Italia che all’estero. Ha lavorato fino all’ultimo realizzando nel 1974 (anno della morte) il Monumento ai Caduti di Madignano. Di mio papà ho molto apprezzato la dedizione al lavoro e la carica umana. Il suo essere sempre attivo mentalmente e fisicamente lo ha portato anche nei periodi più difficili della vita a non perdersi d’animo, guardando avanti con grande serenità e fiducia. Così lo ricordo».
Nella Chiesa di Santa Maria del Suffragio è presente un numero copioso di opere di tuo padre, qual è la sua origine?
«Tutto nasce dalla feconda amicizia tra mio padre e Don Angelo Portaluppi. Quest’ultimo, amante e conoscitore dell’arte, aveva insegnato religione all’Accademia di Brera e aveva conosciuto molti artisti. Quando decise di rinnovare il decoro della sua Chiesa, si rivolse ad artisti affermati e affidò a Aldo Carpi la parte pittorica e a mio padre la parte scultorea. Tra loro si instaurò un bel rapporto di stima e amicizia iniziato nel 1933 con la realizzazione del Sant’Antonio e proseguito nel 1937 con la Madonna della Misericordia, nel 1946 con il Candelabro per il Cero Pasquale; si è concluso poi nel 1953 con l’esecuzione del Sacro Cuore e dell’altare con i rilievi delle Opere di Misericordia. Mio papà accompagnò Don Portaluppi fino all’ultimo scolpendo per la sua tomba, che si trova a Musocco, una Madonna con Bambino.
Don Angelo seguiva con passione e trepidazione l’evolversi delle opere commissionate manifestando sempre grande soddisfazione per la riuscita finale. Si capivano e si confrontavano sulla scelta dei materiali, sui dettagli; riguardo alla Madonna della Misericordia teneva molto all’espressione del volto, che doveva esprimere dolcezza e accoglienza materna. Desiderava che le opere trasmettessero grande spiritualità per avvicinare i parrocchiani alla fede e in mio papà aveva trovato il “suo scultore”. In alcuni scritti manifestava spesso il desiderio di vederlo in preghiera alla balaustra a ricevere l’Eucarestia. Non so se sia stato esaudito. Lo incontrai una sola volta, da bambina, nello studio di Soresina durante la realizzazione dell’altare per il Sacro Cuore. In quella occasione Don Angelo suggerì a mio papà di spostare in fondo allo studio una statua di donna nuda molto grande e a dir suo provocante. Scusandosi poi di essersi fatto coraggio nel dirlo e di perdonarlo. Così era il loro rapporto, sincero, amichevole e di grande considerazione reciproca».
Come porti avanti la memoria di tuo padre, onorandone la storia e diffondendo la sua conoscenza?
«Nel 2004 abbiamo fondato l’Associazione Leone Lodi con la finalità di promuove l’arte di mio padre e del suo tempo, dei suoi committenti, delle città in cui lavorò. Gli strumenti di cui l’associazione si dota sono molteplici, dalle iniziative editoriali alle mostre, dalle giornate di studi ad iniziative di ampia divulgazione. Abbiamo inoltre mantenuto il suo ultimo studio a Soresina, dove sono custoditi arredi e materiali del suo lavoro (le librerie, i cavalletti, i colori e i pennelli). Ancora oggi questo ambiente denso di memorie viene aperto al pubblico per visite speciali; occasione unica per poter ammirare importanti opere originali, fra cui bozzetti, disegni, cartoni e dipinti e soprattutto le sue amate sculture».