La prima tavola della graphic novel, importante almeno quanto l’incipit in un romanzo di sole parole, è concitata e violenta come un fatto di cronaca nera: un rapinatore in passamontagna, pistola in pugno, incrocia due testimoni involontari della sua fuga, si volta e gli spiana l’arma in faccia. È una manciata di secondi in cui si sfiora la tragedia, e rimarrà incisa nello sguardo del bambino che allora, stringendo la mano della zia, si trovava sulla linea del fuoco.
Quel bambino, Alessandro Locati, quarantasei anni dopo, diventato adulto, padre, ingegnere meccanico progettista e insieme disegnatore appassionato di storie a fumetti (Mammiferi, Pedrazzi Editore, La strada delle rondini, Shockdom, premiata e distribuita anche in Francia e Spagna e Hikikomori-il re escluso Feltrinelli, con Maria Sara Mignolli), riparte da quel ricordo dell’inverno 1978 a Ponte Lambro per riannodare la propria storia personale a quella del quartiere, raccontandone con immagini, parole, dialoghi ed emozioni gli anni più cruciali della trasformazione: da tranquillo e operoso borgo di lavandai e contadini a ghetto urbano condannato da scelte urbanistiche e politiche sbagliate a diventare un simbolo – un celebre reportage di denuncia di Giorgio Bocca del 1991 su Repubblica coniò l’espressione «supermarket dell’eroina» – per poi faticosamente risalire tra mille difficoltà la china per diventare il quartiere multietnico, giovane, vivace e contraddittorio che è oggi, ancora in bilico tra annose promesse di rilancio (adesso Santa Giulia e le Olimpiadi invernali lì accanto, ieri il polo multifunzionale sognato da Renzo Piano, l’altroieri i centri ospedalieri Maugeri e Monzino rimasti eccellenze separate dal contesto).

Alessandro Locati a Ponte Lambro è cresciuto («mio nonno e poi mio padre sono stati tra gli ultimi imprenditori delle lavanderie industriali che hanno fatto la fortuna e il carattere del quartiere) prima di trasferirsi non lontano, in via Mecenate, nel quartiere è sempre tornato fino a oggi partecipando alle iniziative sociali e solidali che lo animano (Uniponte, il Laboratorio di quartiere, Qubì).
Sembra insomma quasi un destino che sia lui a raccontarlo con il più ambizioso dei progetti di scrittura: «Volevo che fosse insieme la mia storia e quella del quartiere, ma anche una storia locale generalizzabile, perché una trasformazione simile l’hanno affrontata molti quartieri a Milano e in tutta Italia, e la storia individuale più generalizzabile di tutte, che è il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, sullo sfondo di un contesto particolarissimo a cui sono profondamente legato».

Il risultato è la graphic novel di 140 tavole disegnate e dipinte con mano sicura e sofisticata a penna e acquerello provvisoriamente intitolata Il quartiere, ancora contenuta in originale in un voluminoso e ordinato faldone che abbiamo avuto l’emozione di vedere in anteprima, in attesa della pubblicazione già prevista ma complicata dalla chiusura della casa editrice Shockdom, e in attesa che i contatti in corso con altri editori specializzati in fumetti e graphic novel diano corso alla stampa. Perché il lavoro di Locati nasce sulla carta e per la carta, anche in tempi in cui molti fumetti trovano subito spazio, lettori e successo sul web: «Se dovessi citare degli autori di riferimento, i primi sarebbero Hugo Pratt, Manara e Sergio Toppi, più vicini al disegno e alla pittura che alle vignette».

Il quartiere di Ponte Lambro
Vive infatti al meglio sulla carta, Il quartiere, con i colori che cambiano accompagnando la temperatura emotiva della storia: il verde dei prati punteggiato dalle lenzuola candide nel Ponte Lambro degli artigiani e dei lavandai, i delicati colori pastello della vita in famiglia, delle corse in bicicletta all’aperto e dell’incontro con la bambina Ilaria, primissimo amore fatto di sguardi e timidezze. Poi il grigio e nero dei racconti di guerra della mamma, che rievoca i rifugi, la paura e la solidarietà sotto i bombardamenti di Milano, e ancora le tinte vivaci del circo che tutti gli anni irrompe nella tranquillità del borgo coi suoi cortei di animali esotici («le mie prime esperienze di disegno le ho fatte al Museo di storia naturale “copiando” le vetrine delle esposizioni, prima di frequentare a lungo l’Osservatorio figurale fondato dai pittori Enrico Lui e Anna Lisa Guarino all’Isola e i corsi al Museo del Fumetto Wow»).
Poi, gradualmente, avvicinandosi alla scena cupa anticipata nell’incipit prima del flash-back ai primi anni d’infanzia, prevalgono grigio e nero. Tanto grigio quando nel ’75 “atterrano” a Ponte Lambro le enormi stecche dei caseggiati popolari, che con la capacità di sintesi di una didascalia cruciale in una storia disegnata Alessandro Locati alla tavola 91 racconta così: «Gli stabili erano pronti per mettere dentro quelli che erano in graduatoria, ma il prefetto ci telefona. Doveva sistemare quelli delle case minime, la schiuma dei disperati di Milano. Espropriò gli alloggi e vi portò dentro tutta quella gente. In tre giorni ruppero tutti i lampioni sotto i portici».

E siamo agli anni più duri di Ponte Lambro, di fatto governati dalla criminalità organizzata e durati fino ai primissimi ’90 raccontati da Giorgio Bocca: un po’ Far-west  – c’è un assalto al bus 66 che sembra alla diligenza – e un po’ Hell’s Kitchen alla milanese con spaccio e consumo a ogni angolo.
«Avrei potuto fermarmi lì – dice Locati – chiudendo il racconto dove era cominciato, ma non sarebbe stato giusto. Così ho aggiunto alcune tavole in flash-forward». Un’altra didascalia: «L’alba del 17 maggio 1995 non ce la dimenticheremo… un frastuono di elicotteri, auto della polizia e megafoni, cinquecento uomini delle forze armate, da Milano ma anche da Genova e da Padova. Portarono via quasi cinquanta persone, sequestrarono dei quantitativi impressionanti di droga».
Era l’operazione chiamata “Ali bianche”, una prima svolta anche se non la soluzione dei problemi «Vorrei mantenere un tono aperto alla speranza, perché ho visto come il quartiere oggi si stia evolvendo, con molti giovani immigrati e soprattutto ragazze impegnatissimi nelle iniziative sociali e culturali, in quello che è diventato tra i quartieri con l’età media più bassa, gli alloggi più accessibili e le idee più aperte della città». E chissà, si potrebbe pensare a un sequel…

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