
Gianna Coletti in scena ©Giovan Battista D’Achille
“E prende il treno per non essere da meno e piange e ride per quel grande, assurdo amor!” Sulle note di piano del giovane maestro Giuseppe Guerrera, sotto un semplice festone di fioche luci da cabaret, Gianna Coletti fa la sua entrata in scena in abito nero illuminando tutta la sala con un sorriso smagliante mentre intona Prendeva il treno. Da qui ha inizio il viaggio alla (ri)scoperta del mondo poetico e ironicamente tragico di Enzo Jannacci.
E dopo Gigi Lamera, romantico operaio che taglia i fiori nelle lamiere, fermata successiva è la stazione di Rogoredo, con la Coletti che imbraccia la chitarra e racconta la storia “de vün che l’è mai stà bún de dì de no”. E così, in poco più di un’ora, riprendono vita le anime di altri “poveri Cristi”, dalla Veronica, che vende il suo amore in piedi nell’ex cinema Carcano, al sordo e sguercio della banda dell’Ortica, al barbun con i scarp del tennis sul stradon per andare all’Idroscalo.
Intrecciata agli eventi più importanti della storia del nostro paese ecco sciorinata tutta l’umanità varia di Jannacci, con quella particolare attenzione e simpatia per i “diversi” – barboni, omosessuali o “negri”, come si diceva allora – categoria di cui ha sempre sentito di far parte lui stesso, fin da piccolo, dagli anni della guerra. Esclusi che, paradossalmente, anche nel dopoguerra, nell’Italia del Boom saranno tanti. Perché se è vero che il benessere arriva è altrettanto vero che non è per tutti. La Coletti sottolinea gli omaggi disseminati di Jannacci al padre Giuseppe, citato ad esempio nella canzone Sei minuti all’alba, seguendo la volontà del quale diventò medico, conoscendo la sofferenza di tanti, assistiti anche attraverso il volontariato – non a caso oggi la Casa dell’Accoglienza a Milano porta il suo nome.
Professione però che negli anni non è sempre stata accettata da tutti accanto a quella di artista. Forse neanche oggi veramente. Eppure studiò sempre con tanta dedizione, persino tra un numero e l’altro al Derby Club, mitico tempio del cabaret milanese. Qui ha suonato anche con Enrico Intra e altri importanti jazzisti, oltre a frequentare e lanciare generazioni di comici e umoristi. Ed è proprio un piacere sentir rievocare lo spirito di quegli anni dalla Coletti, compresi spassosi siparietti e divagazioni dialettali, “decifrate” presumibilmente per i più giovani in sala, come il riferimento al famoso trasú – espressione tipica milanese per riferirsi a un tipo di colore, non ben identificabile.
Tutti elementi che vanno a comporre e arricchire un variegato immaginario di spaccati milanesi dalla Seconda guerra mondiale ai primi anni Duemila, toccando episodi come la famosa rapina di via Osoppo nel 1958, mentre in Italia chiudono i casini, Modugno vince Sanremo e Jannacci si esibisce con Gaber nel duo musicale I Due Corsari e suona nei “Rock boys” di Celentano. E poi il coraggio di presentare a Canzonissima ’68 un brano come Gli zingari, fiasco televisivo in contrapposizione a un vero tormentone, al punto da diventare persino simbolo della contestazione studentesca, Vengo anch’io – (prevedibile) momento di grande partecipazione del pubblico, con la Coletti a dirigere gli spettatori in (quasi) spontanei controcanti. Non manca anche la poesia di Giovanni, telegrafista, versione italiana della poesia João, o l’interessante possibilità di riascoltare Il cane con i capelli, brano legato al disastroso provino fatto per la RAI nel 1961.

Gianna Coletti in posa ©Giovan Battista D’Achille
C’è poi il Jannacci impegnato che sa affrontare con lungimiranza il tema delle morti bianche – “il cui colpevole in realtà è il profitto” sottolinea giustamente la Coletti – ne La costruzione, che riporta alla scintillante Milano da bere anni Ottanta, dove si brinda con l’Amaro Ramazzotti. Una città dove pare si possa avere tutto ma nella quale Jannacci inizia a sentirsi terribilmente stanco, o meglio, “un pu s’cioppàa”. Fino a un lucido sguardo sul presente dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Un presente scandito dalle rate che ci accompagneranno per tutta la nostra esistenza.
L’esistenza di Jannacci invece, comprese alcune incursioni nel cinema, si concluderà nel 2013 alla clinica privata Columbus, proprio la stessa nella quale in quello stesso periodo si trova ricoverata la madre della Coletti – diventata anche lei protagonista di un altro spettacolo dell’attrice. E poi il 2 aprile 2013 il funerale in Sant’Ambrogio. Tanti ad accompagnarlo nell’ultimo saluto. E la gente piangeva davvero.
Così come sembra spesso commuoversi la Coletti, drammatica ed espressiva, nel compito di omaggiare tanto personaggio, milanese d’adozione eppure oggi rappresentante di spicco di tanta tradizione. E chi meglio di lei per dedicare, con raffinatezza e un pizzico di sana spensieratezza, uno spettacolo leggero ma completo a un artista a dir poco poliedrico. Il pubblico, attento e partecipe, è visibilmente travolto dalla sua “urgente” interpretazione, sempre viva, sentita, a tratti pungente e stravagante ma sempre invitante e accogliente, come l’anima di Milano. E di Jannacci.
Una valida occasione – per chi Jannacci l’ha conosciuto e chi non ha potuto – per riscoprire un virtuoso dalle mille vite. Chirurgo, jazzista, karateka, cantautore, attore e cabarettista. In una parola “poetastro”, come lui stesso amava definirsi, ma soprattutto un uomo dal cuore urgente. “Genio e sregolatezza”: mai definizione sarebbe migliore per descrivere i due poli della sua arte. O se preferite, più sinteticamente, “l’importante è esagerare”, come motteggiava spesso. Anche se in questo caso il risultato è uno spettacolo molto equilibrato e misurato nel comunicare e mostrare, anche alla generazione Z, spesso vicina per spirito ai molti fragili cantati, la capacità di Jannacci di saper parlare ancora a tanti isolati.
Prima di calare il sipario un saluto al cielo: “Jannacci, te voeuri ben!” Anche questo poteva essere un bel titolo. Esclamazione che resta comunque ben impressa nelle orecchie degli spettatori mentre lasciano la sala sulle note, questa volta in diffusione, de La forza dell’amore, uno dei tanti pezzi scritti insieme al ricordato maestro Dario Fo.
Luca Cecchelli
©Riproduzione riservata
JANNACCI. QUELLO DAL CUORE URGENTE
12-13 aprile 2025
di Gabriele Scotti e Gianna Coletti
Con Gianna Coletti
al pianoforte Giuseppe Guerrera
Regia Renzo Alessandri
Aiuto regia Claudia Galli
Produzione Teatro de Gli Incamminati
in collaborazione con Spericolata Quinta