Ogni famiglia è infelice a modo suo, e vale anche per la famiglia un po’ particolare composta da un combattivo parroco molto attivo nel sociale e nella chiesa, la sorella perpetua e un giovane diacono, messa in scena da Dario De Luca in Il Vangelo secondo Antonio, dal 30 gennaio al 2 febbraio al teatro Oscar (info@oscar-desidera.it, ore 20.30 nei feriali, ore 16 alla domenica). Fin troppo comune a tante famiglie è invece l’origine di un ordinario dramma privato, il morbo di Alzheimer, che travolge sempre, insieme, chi ne è colpito, chi gli vuole bene e le certezze su cui è costruita l’esistenza quotidiana di ogni comunità di affetti e di valori.

il vangelo secondo antonio

@PH Manuela Giusto

L’atto unico Il Vangelo secondo Antonio – tre attori in scena, Don Antonio/Dario De Luca, la sorella Dina/Matilde Piana, il giovane diacono/Davide Fasano – ha a sua volta già una storia alle spalle: prodotto per la prima volta nel 2016 da Scena Verticale per il Festival Primavera dei Teatri, per tre anni ha girato l’Italia fino allo stop obbligato del Covid nel 2020. «Sono felice – dice De Luca – che adesso torni all’Oscar di Milano, dove lo hanno voluto i tre direttori artistici Gabriele Allevi, Luca Doninelli e Giacomo Poretti, che in momenti diversi avevano visto e amato questo spettacolo. Poi la tournée  proseguirà per Roma e la Calabria».

Perché l’Alzheimer e perché protagonista un prete, De Luca?
«La malattia, quasi per caso. Qualche anno fa mi sono imbattuto in un gruppo di persone, medici, fisioterapisti, psichiatri che si occupavano di pazienti affetti dall’Alzheimer e mi hanno dischiuso un mondo. Io ne sapevo ben poco, ma mi ha colpito profondamente l’aspetto umano ma anche simbolico di un morbo che cancella non solo i ricordi, ma le convinzioni e le scelte di vita di chi ne soffre, pur lasciando intatta l’umanità della persona. E nel frattempo inevitabilmente sconvolge la vita di chi assiste questi pazienti, familiari e amici, provocando sempre dolore ma anche rabbia, riflessioni sulla perdita e incidentalmente spunti di straziante comicità…».

@PH Manuela Giusto

E perché un sacerdote?
«Perché volevamo smarcarci dal caso clinico, dal racconto nudo e crudo della malattia e dei suoi effetti, per mettere in teatro una situazione più universale. La personalità di un prete impegnato, che nella scena di apertura organizza gli aiuti e i soccorsi agli immigrati appena sbarcati sulla costa del paese calabrese dove si svolge la vicenda, e che sappiamo si occupa per la Chiesa della gestione dei beni sequestrati alla mafia, era la scelta giusta per sottolineare l’aspetto simbolico della perdita della memoria di sé nello scontro con la malattia».

Don Antonio dimentica anche la fede?
«Naturalmente sì, come dimentica chi era e non riconosce più neppure la sorella. Non riconosce più neppure il Cristo, che in scena è una statua del crocifisso, ma gli resta un sentimento di appartenenza e di pietà, per cui lo vuole accudire e coprire con gli stessi indumenti che destinava ai profughi. Quello che sopravvive è la misericordia, un senso religioso a prescindere anche dall’aspetto confessionale».

@PH Manuela Giusto

Un aspetto singolare della ripresa del Vangelo secondo don Antonio è che torna in scena con la stessa formazione che lo ha varato nove anni fa…
«È una delle cose cui teniamo di più. Nel frattempo ciascuno degli attori e dei tecnici della compagnia ha fatto la sua carriera in teatro, al cinema, ma quando l’ho proposto hanno tutti accettato con entusiasmo. Anche il tecnico delle luci, che nel frattempo ha fatto un concorso all’Enel. Ha preso le ferie per essere all’Oscar di Milano con noi».

0
    0
    Carrello
    Il carrello é vuotoTorna alla libreria