Questa è una storia sul male di vivere e tutto ciò che ne è correlato, dalle cause più profonde agli effetti più atroci. Un caso di spleen esistenziale, alla maniera di Baudelaire, in purezza, in cui disagio e angoscia sono i due estremi di un pendolo, che si muove lento su quel nodo sottile tra la fatica dell’essere e la grazia che, a volte, ne deriva.
La mancanza di senso non giunge con fragore, non si annuncia. Si insinua piano, come una nebbia che avvolge i contorni delle cose. Eppure, in quella sospensione, qualcosa parla: la vita stessa, nella sua nuda evidenza. Questa sofferenza senza tempo e senza nome sembra la traccia della nostra coscienza, il segno che sentiamo troppo, che vediamo troppo, che non riusciamo a dormire del tutto nel grembo del mondo. Siamo creature che ricercano la totalità ma che forzatamente vivono nel frammento. Il dolore nasce da questo scarto, eppure è anche il luogo in cui tale frammento si illumina. Non un dolore acuto ma una stanchezza che tende ad infinito, una consapevolezza che ogni cosa finisce, cambia, si trasforma con noi che possiamo solamente fare da spettatori inermi.

Il corpo continua mentre l’anima si siede sfinita e sfiduciata a lato della  strada. Ed è proprio qui che comincia la nostra storia, quella di un uomo che disegnava come si sogna, che riprendeva i suoi e nostri incubi, le paure, la perdita del sé, la fragile gloria dell’esistenza.
Lui si chiamava Gabriele Di Benedetto, per tutti AkaB, fumettista, illustratore, pittore, regista e sceneggiatore, artista a tutto tondo che ha saputo come pochi trasformare l’inquietudine in linguaggio visivo. Nato a Milano nel 1976 in zona Brenta, qui frequenta le elementari prima di trasferirsi con la famiglia a Peschiera Borromeo, tra le pieghe di una città che diviene presto specchio del suo mondo interiore.
Per aiutarci a ripercorrere tutte le tappe della sua vita, dal punto di vista familiare, artistico e soprattutto esistenziale, abbiamo fatto un’oretta di chiacchiere, intense e talvolta struggenti, con uno dei due fratelli maggiori, Pino Di Benedetto, imprenditore nel campo odontoiatrico, diversissimo da Gabriele ma eccellente custode della memoria del fratello e divulgatore della sua breve ma assai intensa esistenza.

«Mio fratello, terzo maschio con una decina di anni in meno degli altri due, era un ragazzino come tanti altri, abbastanza docile e decisamente buono. Le prime avvisaglie di cambiamento sono comparse con il trasloco a Peschiera Borromeo e la primissima adolescenza, quando un prepotente istinto ribelle  e contestatore si è affacciato, creando qualche problema a scuola e in famiglia. L’esperienza del liceo artistico Brera di via Hajech non contribuisce a migliorare la situazione, diviene presto capopopolo e leader antisistema, si scaglia contro le istituzioni e qualsiasi forma di potere, in maniera non violenta ma sarcastica, nichilista, già disilluso nei confronti del mondo e assai pretenzioso verso se stesso. Chi lo ha conosciuto parla di uno sguardo intenso, quasi febbrile e di una dolcezza di fondo che conviveva spudoratamente con l’abisso. Con l’età adulta erano già evidentissimi il disagio e la rabbia contro una società in cui per arrivare bisogna sgomitare, correre come il criceto nella ruota senza giungere mai in alcun luogo, con l’arte come unica possibile alternativa e via d’uscita. Terminata con fatica e noia la scuola, AkaB, nome derivato non a caso dal capitano del romanzo Moby Dick, ossessionato dalla vendetta nei confronti della gigantesca balena bianca, inizia a pubblicare dei fumetti, da sempre la specialità della casa e mezzo preferito per parlare del suo tormentato mondo interiore. Gabriele inizia a muoversi nel sottobosco del fumetto underground, dove il segno è ancora libertà e ferita. I suoi soggetti sono spesso tragici, in maschera, in un tripudio di sangue, violenza, sofferenza. Sembrerebbe controllare personaggi ed emozioni laddove in realtà sono invece lo specchio di una clamorosa fragilità di fondo, un’incapacità di comprendere il senso del nostro vivere, dell’organizzazione che ci siamo dati, della proprietà privata, perfino delle relazioni umane e delle inevitabili frustrazione che ne derivano. Incomincia ad arrivare un discreto successo, AkaB fonda dei collettivi piuttosto rinomati nei primi anni 2000, lavora su fumetti, tele, video, fotografie, installazioni, riceve addirittura proposte di collaborazione dalla Marvel stessa e viaggia spesso in Europa e negli USA. Pur attraversando la scena indipendente come un rabdomante di ombre, nei contesti pubblici, fatti comunque di forme, etichette e frasi fatte si sente un pesce fuor d’acqua.

Lui si sente solamente artista, null’altro, ogni canale è solo un modo di respirare l’oscurità e restituirla in forma di luce, la sua luce. Le prime frustrazioni gli risultano insopportabili, litiga con i soci e colleghi, parte per un anno in Islanda col padre che lassù doveva lavorare ma i demoni ormai hanno trovato casa e non se ne andranno più. Nemmeno l’amore di una ragazza e il grande successo con tutte le altre mitigano la sua anima sanguinante. La notorietà arriva anche con il cinema, il primo lungometraggio, Mattatoio, finisce addirittura alla mostra del Cinema di Venezia, ne seguiranno poi altri due con anche un suo pubblico di affezionati appassionati. Ormai però la psiche si è fatta troppo labile, Gabriele passa da picchi di esaltazione per i suoi successi a salti nel vuoto più oscuro senza paracadute. La sua opera continua a vivere tra il sogno e l’incubo, tra l’intimo e il cosmico, senza compromessi, senza mediazioni, senza passi indietro. Arte per l’arte, estremista bohemienne, rifiuto del danaro e della celebrità, tutto questo popolava la sua mente. I suoi ultimi progetti degni di nota, tavole per Dylan Dog e progetti di autoproduzioni collettive, hanno poco più di un effetto placebo sulla sua anima strappata e nel 2019 Gabriele decide di chiudere la sua esistenza, come sempre stabilendo lui il quando, il come e, chissà, anche il perché».

Al termine dell’incontro siamo tutti commossi, la storia è bellissima e tremenda allo stesso tempo. Pino, dopo il lutto, ha iniziato ad approfondire tematiche spirituali ad ampio raggio e uno dei suoi più grandi desideri ora è quello di incontrare nuovamente il suo fratello minore nell’aldilà, un giorno. In fondo ci chiediamo se rivedremo chi abbiamo amato, non per curiosità metafisica, ma per difendere l’idea che l’amore non possa dissolversi del tutto. Non solo desiderio di sopravvivere ma anche che quanto abbiamo vissuto abbia avuto il senso che Gabriele non è riuscito a trovare. E forse comprenderemo che il male di vivere non lo si vince ma lo si attraversa, non lo si cura ma lo si comprende. E nella comprensione, paradossalmente, si trova una forma di pace, la quiete di chi accetta il mistero e talvolta riesce persino ad andarci a letto insieme.
