In via Gaggia angolo via Boncompagni, uno di quegli angoli nascosti di Milano che hanno più di un secolo da raccontare, di storie se ne incrociano più di una. La prima, che piacerà agli appassionati di storia materiale, è quella del modo in cui viaggiano le merci: in casse di legno fino alla seconda metà dell’Ottocento quando è stato inventato il cartone, da allora nelle scatole di tutte le dimensioni che ancora oggi intasano il flusso mondiale del commercio online e poi per un po’ nei gusci di plastica, nel mezzo secolo breve del polistirolo, quando l’era del boom si era momentaneamente illusa di aver scoperto la leggerezza, prima di scoprirne i difetti e tornare largamente a un cartone più evoluto e facilmente riciclabile. Di tutte e quattro le ere dell’imballaggio (del legno, della carta, della plastica e di nuovo della carta) lo Scatolificio Italiano Spada, già Segheria Spada dal 1922, è stato a modo suo un protagonista: nella casse Spada hanno viaggiato bottiglie di Campari e munizioni, negli imballi di polistirolo gli elettrodomestici del boom, nelle scatole di design l’industria milanese degli interni e della moda.

scatolificio spada

La storia di famiglia che con la storia industriale si intreccia, invece, ha il passo di una saga storica da romanzo. L’antefatto, ancora nell’Ottocento, è il matrimonio di Cesare Spada che porta in famiglia, come dote della moglie, il bosco a pioppi e abeti della Travacca, a Pavia.  Il bosco alimenta la segheria, che fa travi per l’edilizia. Il primo vero capitolo è invece la Grande Guerra: il secondogenito scampa al richiamo per salute gracile, il fratello maggiore Carlo va in trincea da ufficiale degli alpini, ma quando torna il padre è morto di Spagnola e il fratello lo liquida con mezzo bosco, mezzo capitale e tanti auguri. Il capitolo successivo è quello dell’arrivo di Carlo Spada a Milano, in via Gaggia, dove fonda l’azienda che diventa la seconda fabbrica di casse per fatturato in Lombardia. Ma di nuovo il corso della storia complica la vita dei protagonisti: per un lustro il Fascismo ha bisogno di minacce e violenze squadriste, a volte rubricate come rapine, per “convincerlo” nel ’26 a prendere la tessera del PNF. Poco dopo, nel ’29, Carlo brevetta un ingegnoso imballo in legno riutilizzabile chiamato (banditi i forestierismi) “smontabilcassa”, poi nel ’33 un incendio devasta la segheria, nel ’34 gli espropriano parte del bosco per farci una colonia elioterapica, nel ’38 ne rivendicano un’altra porzione (ma stavolta rifiuta). E la guerra, che in molti altri casi foraggia le imprese, nel caso delle casse per munizioni, considerate doveroso sforzo patriottico, tiene bassi i prezzi e paga a stento. Finché, dopo qualche altro bombardamento e sciagura (le vedremo), nel ’44 Carlo Spada getta la spugna, liquida la segheria provvedendo a che una parte dei ricavati vada agli operai rimasti e sfolla nel varesotto. Il 21 marzo ’45, a Gallarate, morirà mitragliato sul treno che lo sta portando con le sorelle in Valganna.

E siamo al terzo capitolo, che se lo avesse scritto de Bernières sarebbe meglio del Mandolino del capitano Corelli, ma qui tocca accontentarsi del riassunto: il figlio di Carlo Spada, Cesare, era partito nel 1940 come sottotenente di artiglieria per il fronte greco. Pessimo inizio: la nave che lo trasporta è silurata nel Mediterraneo. Seguito anche peggiore: è di stanza a Rodi nel settembre del ’43. Racconta oggi il figlio, Paolo, la cui voce narrante ci ha guidato fin qui e che cederà poi la parola al figlio Riccardo Spada nel finale: «Mio padre raccontava che la sera del 7 settembre ufficiali italiani e tedeschi avevano bevuto insieme. La mattina dopo i tedeschi gli puntarono contro i fucili. Dai comandi italiani nessun ordine». Nella grande confusione Spada lascia ai soldati la scelta: consegnarsi ai tedeschi per il rimpatrio promesso o agli angloamericani (in zona combatteva un reparto di sudafricani) come cobelligeranti dopo l’armistizio. Chi fa la prima scelta sarà fucilato sulla piaggia di Rodi. Cesare e i commilitoni che avevano optato per la fedeltà al Re e la rottura con il nazismo passeranno i due anni successivi in un campo di raccolta in Egitto. Quando nel ’46 Cesare torna a Milano l’azienda è distrutta, restano solo il bosco, la villetta dove vive ciò che resta della famiglia in via Angelo Maj e un aiuto economico dai parenti. Convoca i pochi operai rimasti: non ho soldi per pagarvi, ma ve la sentite di provare a ricominciare? I primi proventi sono della segatura venduta con un carretto a mano. Però intanto è partita, quasi dal niente, la Ricostruzione.

Dei decenni successivi abbiamo accennato all’inizio i cambiamenti tecnologici: cartone e polimeri al posto del legno. Va aggiunta, già ad opera del figlio di Cesare, Paolo, l’acquisizione di mercato, competenze e maestranze (senza licenziamenti) dell’ex concorrente Scatolificio Italiano di San Giuliano, diventato  Scatolificio Italiano Spada. Nel nuovo millennio, l’entrata in azienda del figlio di Paolo, Riccardo, che da designer di formazione ha portato con sé gli strumenti per accompagnare l’ultimo deciso cambio di rotta delle scatole nel mercato moderno: non più protezione dagli urti per vagonate di merci in viaggio, ma confezione di prodotti, in un mix di grafica, forme, funzioni e design dove l’originalità e l’elasticità dei sistemi produttivi adottati permette di operare anche in quantità ridotte – da 50 a 500 pezzi – adatte a tempi di shopping online, in cui i pezzi viaggiano da soli fino alla porta di casa.

Meno veloce della tecnologia, dei cambiamenti del mercato e del succedersi delle generazioni, ha paradossalmente viaggiato per cent’anni la trasformazione urbana della zona di via Boncompagni, altra storia che si intreccia con la saga degli Spada. In pochi altri angoli di Milano oggi restano tante antiche fabbriche: attive come lo Scatolificio Spada, diventate grand hotel senza cambiare aspetto esterno come la chimico-farmaceutica Brioschi (quella del citrato e del Lysoformio), rimaste nella terra di mezzo come il saponificio Gavazzi, che oggi anziché trasformare gli scarti di macello in sapone ospita anche spazi per eventi, attività creative e una scuola di danza acrobatica, conservando la memoria del passato. Intorno, capannoni vuoti, centri edili, centri frigoriferi, ex fabbriche di televisori e di cavi, officine in cui si sono via via sistemate start-up, locali per musica, uffici, la redazione della rivista giovanile Scomodo, studi di design, coworking di professionisti della comunicazione e dell’urbanistica. E questa è una storia che si sta ancora scrivendo giorno dopo giorno.

 

 

 

 

 

 

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