di Alberto Tufano

Il grande pubblico ha imparato ha conoscere Pif, al secolo Pierfrancesco Diliberto, grazie al successo del suo primo film da regista “La mafia uccide solo d’estate”, in cui si riesce persino a sorridere della tragedia criminale che oscura la fama della Sicilia onesta, quella che lavora duro e deve subire quotidianamente disservizi sociali a livello locale; oltre ai pregiudizi degli ignoranti di tutto il mondo. Poi la vetrina del Festival di Sanremo lo ha consacrato definitivamente, ma lui rifiuta il ruolo di star nazional-popolare e si tiene stretto quel personaggio da finto ingenuo dissacrante, che da anni porta al successo ne Il Testimone. E proprio in occasione della conferenza stampa di presentazione della nuova stagione su MTV, abbiamo potuto incontrarlo e strappargli una promessa: in autunno verrà gratuitamente a parlare con i ragazzi in una scuola della Zona 4, per spiegare come si può combattere la mafia con l’arma dell’ironia. Il tema gli è molto caro, tanto che ha intenzione di creare uno spazio-museo nella sua Palermo, per ricordare gli eroi dell’antimafia e i sacrifici fatti per debellare la cultura mafiosa. “I giovani siciliani si vergognano di essere accostati a Totò Riina o a Bernardo Provenzano – ci dice -, ma nella nostra terra sono nati anche Giovanni Falcone, Peppino Impastato, Rocco Chinnici, Paolo Borsellino, Calogero Zucchetto, Ninni Cassarà, Rosario Livatino, il giudice ucciso a 38 anni: eroi veri e siciliani anche loro. Esiste la possibilità di scegliere ed è giusto che i giovani abbiano l’opportunità di conoscere questi grandi uomini, per avere un esempio in cui credere, continuarne la missione e creare un futuro diverso”. Niente male per uno che ha cominciato come aiuto regista di Marco Tullio Giordana nel film “I cento passi”, ma che poi ha preferito la strada della leggerezza televisiva tra Candid varie e Le Iene. Tutto serve. E oggi Pif è certamente uno dei più promettenti talenti narrativi che circolano in televisione, forse addirittura il migliore storyteller con la telecamera; e l’idea che possa veramente venire a dialogare con gli studenti della nostra zona, spiegando il suo punto di vista sulla lotta alla mafia, francamente ci onora.

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Pif, intanto grazie per la sua disponibilità fuori dal comune: è raro che un personaggio della sua popolarità si conceda con tanta umiltà è generosità: forse perché Milano è la sua seconda casa?
«Milano mi ha adottato perché ho iniziato qui a fare televisione: ho seguito un corso da autore televisivo con Davide Parenti, che poi mi ha portato a fare Le Iene con lui, vivendo 6 anni fantastici negli studi Mediaset di Cologno Monzese. Poi ho iniziato a lavorare con MTV sempre a Milano, quindi la sento un po’ anche mia; soprattutto Corso Vittorio Emanuele e Via Torino, dove faccio lunghe passeggiate notturne per godermela e pensare».

Il successo del film, poi Sanremo e lo spot per la TIM: è cambiata la sua vita?
«Francamente no, per quanto mi riguarda. Io cerco sempre di essere me stesso e di fare quello che facevo prima, ma mi rendo conto che è cambiata la percezione che gli altri hanno di me. Ci sono più aspettative, forse anche maggiori responsabilità. Poi magari in strada c’è più attenzione quando faccio un’intervista, magari qualcuno mi sorride di più… Ma io mi sento uguale».

In 6 anni de Il Testimone si è tolto già parecchie soddisfazioni, chi vorrebbe intervistare nel prossimo futuro?
«Mi piacerebbe avvicinare Papa Francesco, che fra l’altro è anche il mio vicino di casa a Roma. Mi attira la sua normalità, al contrario di Benedetto XVI che mi metteva soggezione. Quando Bergoglio fu eletto e ho visto che come prima cosa faceva pregare le persone nella piazza, ho pensato “questo è un Papa secchione” ma mi sbagliavo, invece è un uomo tra gli uomini. Vorrei abbracciarlo, vorrei raccontare la sua quotidianità, perché sono i gesti normali che fanno le persone straordinarie».

Cosa vorrebbe domandargli, se riuscisse a intervistarlo?
«Di preciso non lo so perché è solo un’idea, per ora. Diciamo una cosa del tipo “perché se le cose vanno bene è grazie a Dio, mentre se vanno male non è per colpa sua?” Domande semplici, insomma. Mi piacerebbe anche andare al supermercato con lui, spingere il carrello insieme e commentare i prezzi sugli scaffali; cose che fanno anche i preti delle parrocchie nella loro routine».

Lei è molto impegnato anche sul fronte dell’antimafia, quali sono i suoi progetti futuri a riguardo?
«Nel mio piccolo, vorrei aiutare i giovani ad avere una memoria storica positiva dei siciliani perbene, quelli che per onestà hanno anche sacrificato la loro vita. Spero di riuscire a fare un museo dell’antimafia a Palermo, ma solo se posso farlo come dico io; a costo di avere due diversi musei sul tema. Purtroppo l’antimafia è un fronte diviso, senza un coordinamento comune. Presto in Rai ci sarà anche una fiction televisiva tratta dal mio primo film (La mafia uccide solo d’estate, ndr), ma io scriverò solo la sceneggiatura; non reciterò, né curerò la regia, perché voglio dedicarmi alla scrittura del mio secondo film e mi piacerebbe parlare con i giovani nelle scuole. Finché mi invitano, sfrutto il momento di popolarità per dire la mia (sorride)».

Come si può battere la mafia, secondo lei?
«Ognuno deve mettere a disposizione le risorse che ha. Non c’è un’unica strada, non c’è una sola persona che può farlo, deve cambiare la percezione collettiva: più siamo meglio è! Può fare tanto un articolo, una sentenza, forse un film, una fiction: Don Matteo fa 8 milioni di spettatori ogni volta ed entra nelle case della gente; se la fiction sul mio film può servire alla causa, sono contento. Un buon esempio fa tanto, può servire a che un giovane, in strada, possa dire “No” a un compromesso che sa di illegale. Solo tutti insieme la vittoria si può ottenere».

In questa nuova serie de Il Testimone cosa l’ha guidata?
«La curiosità. Volevo raccontare il punto di vista di altri che hanno scelto, in modalità diverse, di vivere in modo estremo, fuori dal mondo socializzato, senza furbizie e finzioni: in Groenlandia, piuttosto che in Centro America o a Las Vegas o nella nostra Romagna. Un esempio. Noi, in Italia, usciamo normalmente per fare la spesa, mentre magari in Groenlandia – dove in inverno non arrivano navi con le provviste – ho visto gente uccidere le foche col fucile e poi mangiarsele; mi è sembrato uno spettacolo orrendo, poi però uno di loro mi ha obiettato “le foche vivono libere e muoiono libere, mentre voi allevate maiali tutta la vita in cattività, in prigione, e poi li uccidete. Cos’è peggio?” Non è un’obiezione sbagliata, se ci si pensa: il nostro è solo un punto di vista; non l’unico punto di vista».

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Qual è il suo approccio quando arriva in un luogo per la prima volta?
«Come tutti i turisti all’estero, cerco subito un italiano a cui appoggiarmi e chiedere informazioni sul posto: mi faccio spiegare da chi vive lì, ma ha la mia stessa cultura di origine, le cose che non si trovano sulle guide; quali sono le differenze tra il nostro modo di vivere e quelli che vivono in quel posto. Così stabilisco subito una relazione di amicizia e parto da un’esperienza che può aiutarmi a capire meglio».

A furia di raccontare i segreti del successo de Il Testimone, non ha paura che qualcuno le rubi le idee e faccia il suo stesso tipo di televisione?
(risata) «In realtà, esistono già alcuni cloni de Il Testimone; e la cosa mi fa piacere. Non ho alcun timore, perché fortunatamente non sono altrettanto bravi o forse simpatici. Vedi (lui ci dà del tu, ndr), in televisione conta il format ma anche chi lo interpreta. Prendi un’intervista di Bruno Vespa o di Michele Santoro: sono lo stesso format, fondamentalmente, ma la differenza la fa la loro personalità e il rispettivo modo di coinvolgere gli ospiti da intervistare. Io e i miei cloni televisivi abbiamo stili talmente diversi che non posso averne paura: è solo un’interpretazione diversa dalla mia dello stesso format».

Le nuove tecnologie e i Social network sono più un limite o una risorsa?
«Per me sono assolutamente una risorsa. Un programma come il mio senza la rivoluzione digitale non sarebbe stato realizzabile. Io faccio con la telecamera quello che i ragazzi fanno con i telefonini: una specie di selfie televisivo, insomma. Quando ho cominciato con mio papà, che era regista cinematografico, c’erano telecamere analogiche che pesavano 20 kg e più; non era pensabile fare un’intervista e una ripresa al tempo stesso. E anche i social sono un grande aiuto, anche se io, se non facessi il lavoro che faccio, non li userei così frequentemente come vedo fare dai giovani. Amo cose più semplici e rapporti più diretti».

Come seleziona le storie più interessanti?
«Dietro me c’è un grande lavoro di redazione. La mia squadra non si vede, perché il format prevede che appaia solo io in video, ma senza di loro non sarebbe possibile fare nulla, come succede anche nei giornali dove il successo si attribuisce a chi lo dirige, ma sono i redattori che portano acqua al mulino. E soprattutto c’è un lungo lavoro di montaggio: Il Testimone è molto faticoso da fare, si gira tanto e spesso anche scegliere cosa montare richiede tempo. Il mio è anche il successo di Antonella Di Lazzaro e di tutta la squadra».

Qual è la televisione che le piace vedere, oltre la sua?
«Guardo poco la televisione. Spesso la guardo da internet mentre viaggio, perché ho poco tempo. Mi fermo sempre a vedere Crozza, che mi diverte molto e lo trovo intelligente. E poi funziona anche online, perché riesce a divertire per capitoli e i singoli spezzoni sono autonomi: stimola l’interattività del web».

Finiamo con un consiglio per i giovani. Come possono fare antimafia loro?
«I giovani hanno in mano il futuro. Spesso è solo un modo di dire, ma io lo penso davvero. Io consiglio sempre di scrivere a chi si ribella alla mafia, mandargli messaggi da Facebook, bisogna fargli sentire che non sono soli; e non è solo un conforto morale: finché i riflettori sono accesi, sono protetti».

Allora la rivedremo nella nostra zona, per parlare gratuitamente con i nostri studenti?
«Vengo con molto piacere. Scrivetemi e organizziamo, ci tengo».

 Si ringrazia Ruggero Biamonti per la foto                                   

A.T.

 maggio 2014

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